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1926
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30 Libro I. Leone X. 1513-1521. Capitolo 1. Colonna interposero calde suppliche per gl’ infelici, ma i cardinali Schinner, Remolino e Bainbridge, come pure l’inviato spagnuolo Girolamo di Yich, furono energicamente contrari ad ogni perdono ; — il papa tuttavia rimase fermo nel suo sentimento conciliativo, insistendo soltanto sulla sottomissione e ritrattazione da parte dei colpevoli. Una speciale commissione di cardinali doveva determinare le condizioni più particolari. Poiché gli scismatici sulle prime non vollero saperne di conciliarsi, le trattative divennero molto difficili. 1 Difficoltà molto più grandi ancora s’offersero contro le mire pacifiche di Leone X in fatto di politica. Fin nei primi giorni dopo la elezione dicevasi in Roma che il nuovo pontefice avrebbe mandato legati per la pace all’ imperatore, in Francia, Spagna, Inghilterra ed a Venezia. 2 Pare infatti che Leone X sia stato tutto dominato da simile piano, poiché ancor prima della sua incoronazione egli ne parla nei brevi, coi quali cercò di riconciliare Sigismondo re di Polonia col gran maestro Alberto di Brandenburg ed in cui si fa pure parola del pericolo turco, che dovrebbe crescere ancor più per le lotte dei cristiani tra di loro. 3 Leone X doveva tra poco esperimentare che nessuno dei principi europei pensava a prestare orecchio agli ammonimenti di pace del pontefice. Il pericolo maggiore per la quiete d’Europa era minacciato da parte dell’ambizioso re di Francia Luigi XII, deciso a fare di tutto per vendicare la sconfitta del 1512 e riacquistare la splendida Milano. A tale scopo il 23 maggio 1513 il re francese conchiuse a Blois colla Repubblica veneta una lega offensiva, per cui i Veneziani obbligaronsr ad entrare in campo per la metà di maggio con un esercito di 12,000 uomini, mentre i Francesi irromperebbero alla stessa data nell’Italia supei’iore : le armi non dovevano deporsi fino a che i Francesi non fossero venuti in possesso della Lombardia ed i Veneziani non avessero riacquistato tutto ciò che prima della lega di Cambrai avevano posseduto in terra ferma. 4 Conforme al suo carattere risoluto ed impetuoso, Giulio II aveva risposto al distacco dei Veneziani dalla Lega Santa ed al loro ec-cordo colla Francia colle più forti rappresaglie. Non così Leone X, amante della pace, prudente e riflessivo. Per quanto egli pure sentisse vivamente il male che la Francia aveva recato alla sua famiglia ed a lui stesso, tuttavia, giunto alla suprema dignità, egli sulle prime non volle prendere alcun partito. Allorché gli inviati impe- 1 Sañudo XVI, 58, 72-74,158,179, 295, 307, 308, 331 ; Guicciardini XI, 4; Zurita X, 58, 74. 2 Sañudo XVI, 48. 3 II breve del 16 marzo 1513 al gran maestro Alberto di Brandenburg presso Joachim I, 223-224. 4 Dumont IV, 1, 182 s. Cfr. Sañudo XVI, 119, 121 s., come pure 125 e 284 s. intorno alla pubblicazione il 22 maggio.
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1849
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alli cinque ottobre. » Le circostanze poi del suo viaggio e del suo approdo a Venezia, furono descritte più minutamente dal Sanudo colle seguenti parole: « Fu preso nel gran Consiglio d’eleggere dodici amba- • sciatori incontro a Marino Faliero doge, il quale veniva da Ro-» ma (1). E giunto a Chioggia, il podestà mandò Taddeo Giusti-» niani suo figliuolo incontro con quindici ganzaruoli. E poi venuto
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anno 1355. 291 di notte, i capi dei sestieri e i cinque alla pace. Componevano in quell' anno il consiglio dei dieci (1) i patrizi Marco Dandolo, Pietro da Mosto, Giovanni Marcello, Paolo Morosini, Luca da Legge, ossia Lczze, Marco Polani, Nicolò Falier, Marco Tron, Andrea Barbarigo, Tommaso Sanudo (2). Il consiglio minore, ossia il consesso dei consiglieri ducali, era formato in quell’ anno
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1849
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, lo dicono il Sanudo ed altri. Merita particolare attenzione una circostanza, che qui voglio commemorare. Nel registro de’Misti (voi. IV) del Consiglio de dieci, alla pag. 33, ove, secondo la progressione del tempo, avrebbesi dovuto scrivere la sentenza del doge condannato a morte, si scorge lasciata in bianco la prima metà del foglio, e soltanto vedesi l’indicazione non scribatur
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1849
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231 unno xiv, capo xvi. saraceni, ricordate dal Sanudo, e di cui ci porta egli stesso P introduzione. Come semplice oggetto di curiosità, per lo stile orientale, con che sono scritte, piacemi di recarne i due brani, quali il Sanudo ce li recò, tradotti dall’ arabo idioma. Sono dirette ambedue al doge Andrea Dandolo: il tenore dell’una è così: « Lo » Soldano grande signore della terra delle terre
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1849
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282 LIBRO XIV, CAPO XXV. dialogo tal quale esiste nella cronaca autografa, scritta per mano dello stesso Marin Sañudo (1), si perchè si veda, che io posso corredare il mio lavoro di più preziosi ornamenti che non abbiano potuto fin qui gli altri storici, e sì perchè si veda 1’ uniformità del racconto di questo diligentissimo cronista colle parole dell’altro, non meno diligente scrittore, da me poco dianzi recate. Or, dopo di avere esposto la violenza usata all’ammiraglio dell’ arsenale dallo stizzoso Marco Barbaro, così prosegue il Sañudo: ■ L’ar-» mirajo così battudo e sanguinando andò dal doxe a lamentarse » acciò eh’ el doxe facesse far grande punizion contro il ditto da • cà Barbaro. Il doxe dise : Che voi che te faza? Guarda le ignomi- • niose parole senile de mi, e al modo eh’ è sta punido quel rebaldo • de Michiel Sten che le scrisse ; e che stima che li XL hanno fatto • di la nostra persona, linde 1’ Armirajo li disse : Messer lo doxe se » vui volò farve signor et far tajar tutti si bechi zentilhomeni a pezi, » me basta l’ animo, dándome vui ajuto, di farve signor di questa » Terra. Et alhora vui por'e castigar questi tutti. Intese queste parole » il doxe disse: Come se può far una simil cosa? Et cusì entrarono » in argomento. » E si noti, che le violenze usate dal Barbaro, non furono già contro Bertuccio Isarello, cui ci mostrano le parole della cronaca suindicata patron di barca o di nave, ma contro 1’ ammiraglio Stefano Chiazza detto Ghisello; che il reclamo portato al doge non fu già portato dall’ Isarello, ma dal Ghisello, perché i due scrittori, di cui ho portalo le parole, e molti altri, ci dicono andato a lagnarsene con lui V ammiraglio all’ arsenale; che l’Isarello era stalo insultato, non dal Barbaro, ma da Giovanni Dandolo, sicché tratlavasi di due differenti insultatori e di due differenti insultati ; che perciò sono in errore sì quegli scrittori, che pretendono di correggere chi nominò il Barbaro per sostituirvi il Dandolo, o viceversa, e sì que-glino che tacquero del Ghisello, e dissero ammiraglio dell’ arsenale (i) E tra i codici della nostra bibliot. Marciana; ottenuto in dono dal Con tarine alla cui biblioteca apparteneva da prima.
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1849
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a qual si fosse sconcerto. Vi stavano in arme da sei in ottomila persone, oltre ad ottanta o cento uomini a cavallo, i quali rapidamente correvano da un luogo all’ altro della città, ovunque il bisogno esigeva che se ne sorvegliasse la plebe. Tutto il filo di questo racconto, colle circostanze particolari che ho quivi esposte, ci venne conservato dal nostro cronista Marino Sanudo, in un brano di storia, che il Muratori
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1849
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, per ornare il racconto della morte del doge Faliero. Gli antichi storici e cronisti -nulla di più ci dicono, tranne che fu decapitato, e che un capo dei dieci mostrò al popolo la spada insanguinata, esclamando: E stata fatta la gran giustizia del traditore. Si noti per altro, che il Trevisan, scrittore contemporaneo, nulla dice di questa seconda circostanza, e che il Sanudo la mette in dubbio dicendo
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1850
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risoluzione di non volere aderire a verun accordo, da cui non fosse derivato il vantaggio comune dei principi collegati. Nota il Sanudo, essere arrivato a Venezia lo Sforza il giorno 18 dicembre 1440, « con un malissimo tempo, onde non si pò-» tè fargli onore come meritava, né il doge andargli incontro col » bucintoro, ma ben nel suo ritorno gli fu fatto il doppio, perche » il doge 1’ accompagnò
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1850
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350 LIBRO XXIV, CAPO IV. ove furono delti i cinque solili correllori della promissione ducale, « i quali, dice il Sanudo, fecero diverse correzioni ; » ma di poca importanza, cosicché neppur egli ne fece memoria. Gli eiettori poi, nel dì 25 dello stesso -«lese, elessero doge Nicolò Tron, del quale il Sanudo ci dà le seguenti notizie. « Era uomo ricco e procura-» tore di san Marco
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1848
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, ch’era conte di Arbe; ma gli elettori dello Zeno la vinsero con voti 21, mentre lo Ziani non n’ebbe che 18. Fu mandato a prendere con grande pompa, c fu ricevuto in Venezia con inolia festa : quattro galere lo andarono a pigliare, e giunse in patria il dì 28 febbrajo, secondo il Sanudo, ovvero il 18 di esso mese, secondo il Caroldo. Tutto il suo ducato fu guerriero e di sangue, perchè le imperversanti
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1848
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fosse stala eretta nel IX secolo. Sicché non si sa con certezza se ai tempi, di cui parliamo, fosse slato per anco fabbricato quel (empio. In secondo luogo poi, il corpo del santo apostolo, che il Sanudo dice esistervi a’suoi di, non vi ha mai esistito, nè v’ ha carta o documento di quell’archivio, che ci dia indizio avervi mai esistito. Bensì del santo vecchio Simeone, conosciuto qui solto il nome di san
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1924
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ai conflitti, che vennero a essere sempre più accesi. Nell’802 il partito dei Gaibai accusò Giovanni di essersi accordato con Pipino, figlio di Carlo e Re d’Italia, su un piano che, mediante una flotta raccolta a Ravenna, avrebbe mirato alla conquista del ducato delle Lagune. Il Doge allora inviò suo figlio Maurizio con alcune navi armate a Grado e questi, entrato « con gran furor », dice il Sanudo
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1924
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un pievano, di aver fatto molti danni alla chiesa triestina e di aver spergiurato la sua fedeltà di vassallo, fu scomunicato. Vanno rammentate parimenti le famiglie nobili veneziane, che mantennero la fama della loro origine triestina. Le ricordava Marin Sanudo ancora nel 1522, quando alcune erano già estinte: Abramo de Trieste; Albani da Trieste: « fero edifichar San Se^rvolo, mancò 1165 »; Barbari olim
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1925
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delitti comuni. Esso non formava, nel temporale, alcuna casta separata: interveniva col resto della popolazione ai giudizii e alle concioni : occupava impieghi politici, traevansi dal suo corpo notai ed (1) Muazzo. Discorso del Governo antico della Rep. Ven. alla Marciana. Cod. DCXCVII, cl. VII it. (2) Sanudo, Dignità degli offici di Venezia. Codice DCCLXI cl. VII it., Raccolta Contarini alla Marciana
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1925
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186 Cappello. Lagnavasi invece il senato della poca operosità del conte di Pitigliano (1) e della insubordinazione delle truppe sotto il comando di Gian Giacopo Triulzio che militava per Francia (2), le quali aveano perfino assalito il provveditore Giorgio Emo e sembravano intendersela col nemico. Di codeste vittorie molto mostravano compiacersi i re di Francia (3) e di Spagna (4). Dopo che i Yeneziani ebbero bombardato invano il castello di Petra nel Tirolo (5), offeriva il vescovo di Trento i suoi buoni offici per trattar d’ una tregua coll’ imperatore, e la Repubblica mostrando visi disposta, sempre che vi s’includessero i suoi confederati (6), ne mandò avviso al re di Francia ed eccitò il governatore di Milano ad unire un suo ambasciatore a Zaccaria Contarmi incaricato delle trattative. Difatti vi mandò Carlo Juffrè ed alle conferenze col vescovo (7) avea parte talvolta anche Gian Giacomo Triulzio. (1) Sañudo VII, 307. (2) Secreta 25 giugno 1508, p. 108. (3) Sua lettera di congratulazione, Sañudo 284. (4) Sue parole all’ambasciatore. Dispacci Corner 331 a 334, 337. (5) Da una memoria autografa del principe vescovo di Trento, Giorgio di Neudeck, governatore di Verona per Massimiliano I, 1508. De redditinne Castri Petrae. Petram Castrum sub Biseno obsidione cinxerunt Veneti, ubi tertia nocte, post multam conquassationem mu-rorurn cutn bombardis, ex nostris 300 in nocte irrumperunt in castra ipsorum, et interfecerunt magistros bombardarum ipsorum ex improviso, etiam accepta una bombarda. Tunc Veneti altera die solverunt obsidionem. Tandem treguas triennales per Nos et alios Consiliarios Regis Maximiliani, nomine suae majestatis, cum Venetis conclusi-mus, undecima junii 1508, in Monasterio B. Virginis Gratiàrum Comitatus Arcensis. (6) 14 aprile 1508. La Repubblica dimostra il suo piacere che Massimiliano abbia, accolto favorevolmente le pratiche della tregua e conservi l’idea della spedizione contro gl’infedeli, al che però occorrere la tregua e non cum nui soli (come egli avea proposto) ma etiam cum i nostri confederati. Cod. MCLXXX, cl. VII, it. (7) Lettera al vescovo di Trento 8 maggio: Desideravit Ces. M.ut una secum adversas Chr. Francor. Regem arma sumeremus vel ei-dem cum exercitu ad invasionem status ipsius Chr. Pegis profici-scenti transitum per ditionem nostram concederemus, id nos facere
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Page 345
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1925
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. (2) Nulla dicono di questo fatto il Castellana, Malipiero, Sanso-vino, Sanudo, la cronaca LXXXII cl. VII, it. alla Marciana ; il nizzardo narra solo che fu ucciso come tanti altri ; secondo la lettera del secretano di Malatesta Paolo Erizzo, Luigi Calbo, Gio. Badoaro morirono colle armi alla mano. Il martirio dell’Erizzo è effigiato nel soffitto della sala del Maggior Consiglio. (3) Neppur dell’ Anna Erizzo
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Page 499
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1925
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de fede e de gravità ; pareno tutti doctori de lege e quando uno se parisse fora de casa senza la sua toga sarebbe reputato pazzo ». Molto coperte e per lo più in veste nera uscivano le donne attempatelle e le giovani da marito ; andavano invece le altre, specialmente nelle feste, assai scollacciate e dipinte il viso. Le dice Sanudo di debolissima complessione (1) a causa forse della mollezza del vivere
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1925
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nomina Lodovico Forzate, Argen-tin di Agrisedi, dott. Jacopo Turchetto, dott. Joh. dall’ Orologio e Lodovico di Gafarelli. Sanudo ne differisce altresì. (3) 16 giugno 1372 ritenzione di Renato Delfino per certe lettere trovategli che frate Benedetto spediva al signor di Padova, a Irate Bonaventura e al suo provinciale. Misti Cons. X t. VI, 103. (4) Misti VI, p. 103, 104. Nulla della partecipazione
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Page 289
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1925
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283 descritti tutti gli uomini capaci alle armi, che due terzi facessero tosto raccogliersi sotto gli ordini del capitano generale, mentre 1’ altro terzo restasse armato alla difesa della città. Da quest’invio de’ due terzi erano eccettuate le contrade di s. Nicolò, s. Croce, s. Lucia, Cannaregio, s. Biagio e la Giudecca ove tutti gli abitanti doveano rimanere alla difesa, siccome siti più esposti al nemico. Notavansi quindi in ruoli i balestrieri e quelli che dovevano andar sulle Santa Croce. — Ser Marco Zane, Alvise Emo, Piero Pisani, Andrea da Pesaro. Canaregio. — Ser Zuan Donado q. Maflo, Alvise Dolfìn fu di ser Galeazzo, Antonio Memo, Nic Morosini q. ser Polo. Ossoduro. — Ser Zuan Papazizi, Francesco Valier, Polo Barbo, Zuan Balastro. Questi son li chai (capi) di barche. S. Marco. — Ser Andrea Contarini q. Marin da s. Moisè, Polo Ferro, Thadio Cocco, Ant. Renier, Stef. Barozi. Canaregio. — Maflo Memo q. ser Piero, Zorzi Baseio, LucanMi-chiel, Foscaro Contarini q. ser And., Rugier Contarini q. ser Fa tin Castello — Zuan Gabriel de s. Zaccaria, Lunaido da Lczeq. ser Marin, Piero Loredan q. ser Andrea, Maffio Malipiero, Zuan Cocho di s. Daniel. S. Polo. — Ser Bernardo Emo, Andriol Sañudo di ser Marin, Ant. Diedo di ser Yitor, Leonardo Bondomier q s. Zane, Ant. Da Mula. S. Croce. — Stef. Foscarini, Lunardo Venier q. Almorò, ser . . , de Pesaro, Francesco Foscarini, Zanin Zorzi. Ossoduro. — Marco Barbo da s. Pantaleon, Jac. Zivran q. Mat-fio, Piero Zen, M.co Corner nevo de ser Ferigo, Marin de Mezo. Cai di barche a dì 1.° giugno 1360 per li sestieri con barche 6 l’uno S. Thadio Querini s. Marco. — Nic. Foscarini Castello. — Nic. Donado q. Maflo Canaregio. — And. di Bernardo s. Polo. — M.co Zane, Santa Croce. — Fr.co Balbi Ossoduro. Capi di Balestrieri per i luoghi. Alvise Falier e And. Morosini a s. Marco, Nic. Soranzo e Marco Malipiero q. Tomaso a Castello. — Nic. Donado q. Mafio e Micheleto Contarini in Canaregio. — Fantin Querini e Lor. Grade-nigo a s. Polo, And. Gradenigo e Nic. Foscari a s. Croce, Fr. Yalier e M.co Giustinian q. Andrea in Ossodìiro. Sañudo M. S. p. 279 e seg.
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