9 dalla sua dignità in quelle del d." Tommaso Mon-dini. La Commedia nell’ inimitabile suo ristau-ratore Carlo Goldoni e ne’ suoi rinomati seguaci ; il Didascalico e il Descrittivo nella Carta del fiavegùr pitoresco di Marco Boscliinij la Satira nelle rime inedite del Dotti e nelle edite del ì aro-tari e del Pozzobòn_, detto comunemente Schie-sòn; la Pescatoria nelle egloghe di Andrea Calmo ; e il Berniesco finalmente nelle poesie pregiabili di Marcantonio Zorzi e in quelle di Giorgio Baffo, che tante grazie sommerse pur troppo nella laidezza la più schifosa; serbano tutte nel dialetto Veneziano le native sembianze, e fanno mostra d’ una originalità incantatrice. E per parlare di alcuni altri, non è forse Antonio Lamberti che gareggia nella squisitezza della Lirica co’ più valenti poeti d’Italia^ e va al-l’anima nelle sue canzonette quanto Rolli e Ber-tola ? ora è nilido e tenero come Vittorelli ; ora scherza arguto con apologhi tali che niente lasciano ad invidiare a Pignotti nè a Passerotti. E non abbiamo il nostro Redi in Lodovico Pastoj autore del Ditirambo veramente originale sul Fin friularo e di quello altrettanto spontaneo sulla Polenta? E Francesco Grilli si mostra forse men saporito ne’ sali della gioconda poesia vernacola, di quel che Io è ne’ suoi versi toscani e nell’ applaudita sua versione del Tempio di Montesquieu? Parecchi componimenti di cotal genere burlesco ci diede Giambatista Mar atti j che gli intitolò Saggi metrici di Tali Remita. Piacciono chi ha dilicatezza d’ anima e sapor di gusto li Cento sonetti su i cavei de Rina di Giacomo Mazzola. Divertono in fine le fantasie bizzarre sparse nelle poesie facete del nostro Buratti. Sicché può francamente asserirsi, che dall’ assortimento di modi sì varii, lustro, ornamento e fertilità maggiore ridondi alla stessa lingua italiana, »» de' Carboni, la scioltezza e la rapidità de’ Filippi, dei Iuvenzii » la callidità ; e colla stretta dialettica degli Stoici e colla versa-» tile agilità de’ Peripatetici, ha per costume di spingere 1’ avver-» sario allo stretto o di coglierlo al varco, e volteggiando e scher-» mendosi di escir incolume dalle reti e d’eludere vittorioso ogni » insidia. »E dopo di tutti questi vengono ben altri molti che se si » ascoltino a petto de’ più prestanti, forse scadono alquanto nel » paragone, ma se soli s’intendano, certamente non lasciano desi-» derarli ; tanto più che in parecchie cause un dicitor par che basti » senza eh’ esigasi un oratore. Così ad ogni tempra de’ giovani ap-» prenditori s’ offrono qui svariati esempii in ogni genere degnissi-» mi d’imitazione, giacché, come osserva benissimo Tullio, pos-» sono avervi oratori ugualmente sommi comunque del tutto in » fra loro dissomiglianti, e tanto colpisce la semplice verità dei » Tiziani, quanto i dotti e passionati atteggiamenti de’Raffaelli, » nè men si apprezzano dell’ ilare magnificenza de’ Paoli, le vie »terribili de’Michelagnoli ec.» lìoerio. che potrebbe li tanti espressivi ed omogenei andare connaturando e moltiplicare così, senza il snssidio di sorgente straniera, le proprie bellezze, non che que’ suoni che tra le lingue viventi animatrice sovrana la rendono della poesia e della musica. Non è mio questo pensiero, ma del celebratissimo pubblico professore Abate Melchiorre Cesarotti di cara nostra memoria, il quale nel suo Saggio sopra la filosofia delle lingue, propose che tutte le città d’Italia formassero i rispettivi vocabolarii, per poter indi compararli tra loro, estrarne i migliori e più comuni termini., arricchire la lingua de’ dotti ed accrescere il gran Vocabolario della Crusca ( Parte IV. XVI. ) Se varie città italiane corrisposero sin ora a questo voto zelante e patriótico, se Milano, Brescia, Padova, Napoli, Palermo, Osimo, Bologna, Ferrara, Torino, Mantova, Verona (I), hanno i loro vocabolarii già pubblicati ; come averlo non doveva la città marittima di Venezia, il cui dialetto è generalmente ricco di locuzioni e di modi esprimenti e vivaci suoi proprii ed originali, di tante belle voci etimologiche e imitative, e particolarmente di ittiologiche e della marina ? Come non conservare a’ posteri almeno la memoria di un linguaggio, dopo il toscano, il più bello tra i dialetti italiani, il quale passato in mezzo a tante vicende politiche va sensibilmente alterandosi e perdendosi da trent’ anni in qua, come 1’ esperienza dimostra e tutti confermano : in guisa che se sono a quest’ora già quasi spente dalla memoria le voci del Foro e dei Governo repubblicano, lo saranno coll’ andar del tempo anche le familiari e le più volgari ? Tra tanti eruditi e cultori della letteratura che decorano la città nostra, non fuvvi alcuno sin ora che si accingesse a quest’ impresa ; ed era dunque dal destino riserbato all’ ultimo di tal numero e al più meschino di cognizioni, qual io mi reputo, di dar cominciamento a quest’ opera, di perseverarvi per cinque lustri continui tra le difficoltà degl’impieghi pubblici sostenuti; di ricopiarla senza noia per cinque volte di mano in mano che un ammasso di giunte, di riforme, di correzioni sopraggiungeva, e di compilar finalmente una collezione, che se non può vantarsi perfetta, sarà certo sufficiente nella quantità, perchè comprende tutte quelle voci e locuzioni che sono le più comuni e le più usitate fra noi ? (1) Il Saggio di Dizionario Veronese pubblicatosi alcuni anni fa dall’erudito Sig. Abate Aenturi, ci lascia il desiderio e la speranza insieme che ad onore della sua degna e colta Patria sia egli per darci un'opera compiuta di questo genere. 2