122 Pressioni per l’offensiva [13.vn.18] un’Italia forte nell’Adriatico e di conseguenza anche nel Mediterraneo. Dall’altra parte sta la considerazione che la guerra non è ancor vinta; che poche settimane or sono si fu in procinto di perderla; che ogni grande battaglia italiana mette almeno centomila giovani fuori combattimento e che da Fiume in giù, sommando il numero degli italiani sull’altra sponda, non si arriva che a poche decine di migliaia. Cosi che continuando ancora a lungo la guerra, le rivendicazioni contenute nel Patto di Londra sulla Dalmazia e sulle isole costerebbero un sacrificio di vite ritenuto eccessivo. 13 Luglio. Ore 9. Consiglio di ministri. La situazione generale dei belligeranti era già stata trattata dal Comitato di guerra al quale intervenne il Generalissimo Diaz nei giorni scorsi, subito dopo il ritorno di Orlando e di Sonnino da Versailles. Ora la discussione è ripresa e si riassume nella constatazione del desiderio, anzi delle pressioni, dei nostri alleati, di vedere l’Italia sferrare una grande offensiva contro l’Austria, che essi ritengono stremata di forze. Il nostro Comando Supremo ritiene invece che l’esercito austro-ungarico sia ancora in efficienza, malgrado le perdite subite. Certo è che la vittoria del Piave è costata anche a noi sacrifici di uomini e di immense quantità di materiali che devono essere reintegrate prima di affrontare lo sforzo supremo. Si discute sul prezzo del pane che si vorrebbe vedere diminuito, sui prezzi del caffè e di altre derrate. Si approvano provvedimenti circa i pubblici servizi affidati a privati e su altri importanti oggetti. Nel pomeriggio ricevo una commissione dei negozianti di caffè venuti a prendere accordi, e poi mi occupo dello sviluppo della pesca che ho affidato ad uno speciale commissario, competentissimo ufficiale di marina, il conte Tosti di Vaiminuta, deputato al Parlamento.