534 Consegna del trattato ai tedeschi [7-v.ig] Nella sala si fa un silenzio di morte e centocinquanta persone sono irrigidite nell’attesa. Passa un minuto, due minuti, nell’immobilità assoluta. Poi un movimento dal fondo. Sono i giornalisti tedeschi, non ancora i delegati. Lenti, solenni, passano altri minuti. Solo all’ottavo si inquadrano nella porta di fondo le maschie figure dei sei delegati germanici. Entra il capo della delegazione, il ministro degli esteri, conte Brockdorff-Ran-tzau. Tutti i presenti scattano in piedi. Un centinaio di uomini contro sei uomini; dietro di essi, a coprire due terzi del suolo terrestre, un miliardo di sofferenti, cinque anni di dolori e di lutti, dieci milioni di morti. Nessuna tragedia della storia del mondo ebbe mai orizzonte cosi vasto. Brockdorff-Rantzau domina sullo sfondo. Non si hanno occhi che per lui. Tutti gli altri scompaiono. Lui è il capo, è il simbolo della razza vinta. Alto, magro, angoloso, è il perfetto tipo di aristocratico tedesco. In faccia, un altro simbolo: Clemenceau, Pere la Vic-toire. Tozzo, ispido, con la testa grossa e calva, in questo momento ricorda stranamente Bismarck. Gli astanti sono sempre immobili ed il silenzio profondo. Si ode solo il rombo degli aeroplani, che ricorda il rombo della guerra. Clemenceau fa cenno a tutti di sedere. Egli resta in piedi. « Signori, non è tempo di superflue parole. Qui sono i rappresentanti delle Nazioni grandi e piccole che si sono unite per combattere la dura guerra che è stata loro imposta. Voi — grida ai tedeschi —- avete domandato la pace. Siamo disposti a concedervela. Il tempo è venuto di sistemare i conti. Il libro che vi consegniamo contiene le condizioni della pace. Avrete ogni facilità per esaminarlo e vi aiuteremo in questo compito. Questo secondo trattato di Versailles costa troppo perché non si reclamino tutte le giuste soddisfazioni che ci sono dovute. » Clemenceau siede nel silenzio e nell’immobilità generali.