220 Continua la discussione con Hoover [9.XH.18] ma anche dai pagamenti delle tasse che graveranno su tutto il commercio mondiale e che anzi saranno pagate in definitiva dai popoli latini e dai neutri, perché possiedono una flotta mercantile molto meno numerosa che gli anglosassoni e perché sono i loro compratori di carbone. Ma Hoover ritiene che queste siano operazioni a troppo lunga portata, che intanto una banca mondiale sostenuta dalla tesoreria americana potrebbe vedere colpiti di deprezzamento anche i propri buoni, il che avrebbe immediato effetto sul dollaro. Hoover non vede la possibilità di operazioni a cosi lunga scadenza e la paura di veder intaccata la solidità del dollaro gli fa rispondere « no » a qualunque proposta. Nel pomeriggio vado da Clémentel e Boret, li metto al corrente della situazione ed invoco il loro intervento. Intanto i giornali italiani cominciano ad agitare i problemi economici della pace. Chiedono che parecchi ministri se ne occupino all’estero. Ci mancherebbe altro! Se la battaglia non facesse capo ad un solo, e se questi non sapesse mantenere anche sui punti fondamentali il più stretto segreto, la battaglia sarebbe perduta prima d’iniziarla. Come sarebbe mai possibile portare in pubblico gli argomenti di cui io ed i francesi ci valiamo in privato per convincere gli anglosassoni dell’assoluta necessità d’intervenire con molti miliardi? Chissà quali rivolgimenti di mercato si produrrebbero ad ogni stormir di fronda, e la speculazione rovinerebbe tutto. 9 Dicembre. La mattina conferenza generale a Westminster tra Hoover, Reading, Clémentel, Boret e Crespi, ciascuno con i propri principali collaboratori. La discussione diventa in certi momenti solenne. I francesi sono fortissimi per argomentazioni e vivacità di linguaggio nel sostenere le comuni proposte. Lord Reading ci segue pienamente, ma Hoover si lascia smuovere soltanto