13 Aprile. Alle 8 '/2 il mio ufficio e l’antistante corridoio sono già affollati dai miei collaboratori, che vengono a riferire ed a chiedere istruzioni. Il prof. Rondoni, mio capo gabinetto, il comm. Stobbia, mio segretario particolare, la signora Rossetti e la signorina Garibaldi, mie segretarie, archiviste, stenografe, dattilografe, si affannano a scegliere c a consegnare documenti, a fare riassunti da sottopormi, a sbrigare tutte le pratiche correnti. Ed io alla mia piccola scrivania cerco di dare ascolto e di rispondere a tutti. Pirelli e Dragoni m’intrattengono della seduta di ieri alla commissione economica. Gli Stati Uniti, il Brasile e il Giappone hanno voluto alcune deroghe a loro favore nelle clausole riguardanti i contratti di avanti guerra. Si è dovuto concederle. Bisogna pure concludere. Sono state approvate le clausole generali, riletti e riapprovati tutti gli articoli. Fra le clausole generali, questa che mi pare molto grave: « Se il Governo tedesco eserciterà il commercio internazionale, non avrà, sotto tale aspetto, e non sarà considerato avere alcun diritto, privilegio o immunità derivante dalla sovranità ». Durante la colazione nella saletta dei ministri e nella sala degli alti funzionari, ho notato molto nervosismo: le facce sono scure, accigliate. Corre voce che Wilson, Lloyd George e Clemenceau vogliano chiamare a data prossima i tedeschi, e sottoporre loro il trattato prima che le questioni italiane siano risolute. Ciò è contrario ad ogni sentimento di solidarietà e di amicizia degli alleati verso di noi, ed anche al loro preciso dovere, scaturente dalla^dichiara-zione annessa al trattato di Londra, del 26 aprile 1915,