4 Riscossa di popolo [3 .xi. 17] to di tante ferite, si trova certo dove più infuria la mischia. Oggi appare il mio nome sui giornali come probabile partecipante al ministero. Penso che è venuta la mia volta. Già due volte ho rifiutato di entrare in Governi precedenti. Non potrei rifiutare oggi. Giro ansiosamente nelle sale degli stabilimenti di Crespi, opera appassionata di tutta la vita di mio padre e di tutta la vita mia. Da due anni lavorano per la guerra, specializzati nella fabbricazione di tessuti per aeroplani. Penso che gli austriaci potrebbero rompere il debole fronte delle Giudicane e piombare in poche ore fino all’Adda. Chiamo il capomeccanico Carlo Castellanza, lo porto davanti alla distribuzione dell’acqua degli apparecchi automatici di estinzione incendi, e gli dico: « Dovrò forse abbandonare Crespi. Se mi assentassi, giura che al primo accenno d’invasione nemica nella provincia, inchioderai le valvole di questi apparecchi e darai fuoco a tutti gli angoli delle fabbriche. » Castellanza giura. Castellanza non ha saputo tacere con sua moglie. Molte donne si precipitano nel mio studio: «Signor Silvio! È vero che vuol bruciare gli stabilimenti? » « Verissimo. I nemici non avranno le mie macchine. » « Ma creperemo tutti di fame ! » « E allora rimandate i vostri mariti e i vostri figli al fronte ove troveranno, morti o vivi, i miei figli. » Il sentimento di riscossa è in tutta la provincia di Bergamo, come in quella finitima di Milano. Tutti gli industriali, tutte le autorità e perfino i preti, che dal febbraio sono disfattisti, eccitano alla difesa ad oltranza. Tutti, operai e contadini, che ieri e stamane gridavano: «pace, pace!», tutti ora gridano: «guerra, guerra! » 3 Novembre. Ricevo il seguente telegramma: «Vieni subito Roma-— Orlando. » Parto col diretto delle 20 da Milano.