Dissertazione itc-iTe vaile Città qualche, febben lieve, diverfità di Linguaggio fi truo-va fra gli abitanti de’differenti Borghi e Rioni. Non occorre che io ricordi , qual fìa in quello la pratica dell’ Italia , Francia , Spagna , Germania, tutte provvedute di differenti Dialetti, perchè ne fon teilimonj le orecchie di ognuno. Come mai di grazia poffiamo noi penfare, effere {iati sì felici i tempi de i Romani, che la pura Latinità (ì mantenere £ parlaffe in tutte le Provincie di quel vailo Imperio -, e che la conier-vaifero intatta tutte le Città, e fin le ileffe Ville , e niuno di tanti Popoli difeordaffe dall’altro? Quanto a me, non so perfuadermi tanta uniformità di Linguaggio , e tengo, che s’inganni, chiunque voglia credere, che floride per tutta l’Italia la medefima purità e pronuncia della Lingua Latina , che ii oflervava in Roma. Ci erano anche allora varj Dialetti ; e però contuttoché Livio fenza fallo avefle iludiata la più pura Latinità , e fe ne valeffe in teiTere le fue Storie, pure i Romani vi trovarono qualche veiligio del Dialetto Padovano, ch’effi chiamarono Patti-vinità . Anzi nè pure la fleffa gran Roma, dov’era il facrario del migliore Linguaggio Latino , ne’tempi fleiìì di Cicerone , non che di Quintiliano, non andava efente da’Solecismi e Barbarismi ; e fin d’allora bi-fogno ebbero i Romani di fludiare la Gramatica , per ottener la lode Lutine loquendi, come cercai di mollrare nel Tomo lì. della Perfetta Poe(ia italiana alla pag. 101. Fu negata quella partita dal Chiarifs. Abbate Anton Maria Salvini nelle Note Critiche a quel mio Trattato , riilampato in Venezia, pretendendo, che parecchie foffero le Scuole di Gramatica in Roma ne’ tempi fuddetti, ma folamente di Lingua Greca; e non già della Latina , perchè i Romani puriflima l’apprendevano dalle lor madri o nutrici. Ma ila dalla mia Suetonio, il quale, nel fuo Trattato de gl’ illuilri Gramatici, ci fa vedere M. Antonium Gniphonem , in Gallia na-tum , non minus Gratce quam Latine doclum , qui docuit primum in D. Ju-lii domo pueri adhuc, & duo tantum volumina de LATINO SERMONE reliquit. Anche Afinio Pollione, predo il medeiìmo Suetonio , loda Atejum nobilem Grammaticum Latinum. Pero’ i più di eiìì Gramatici interpretavano i Libri Latini , e co i loro fcritti pulivano la Lingua Latina: al che fpezialmente fappiamo, che s’applicò Marco Terenzio Vairone uomo iniìgne , per tacere di altri, il quale nel Libro VII. della Lingua Latina fcrive : Grcccos & La-tinos de utraque declinaùone nominum & verborum , Libros fedjje multos . Ma non iì dee tralafciare ciò, che Quintiliano lafciò fcritto in favellare della Gramatica al Lib. I. Cap. 7. An ideo ( fono fue parole) minor e fi M- Tullius Orator, quod idem Arùs hujus diligentiffimits fiat, & in Filto ( ut in- Epiftolis apparet ) RECTE loquendi ac fcribendi afper quoque txaclor ? An virn C. Cccfarts jregerunt editi de Analogia Libri ? Aut ideo minus MeffAa niùdus, quia quosdam totos libellos non de verbis modo fingulis ,