[2.IV.I9] Gioco polemico contro i francesi 381 chiate d’intesa fra americani ed inglesi e qualche guizzo sulle faccie che si sforzano di rimanere impassibili. Cosi poco a poco mi appare evidente che si fa un gioco polemico infernale per stancare i francesi, per portarli alla disperazione, per rendere vano ogni sforzo d’intesa. Si agisce con un piano prestabilito, del quale mi sfugge lo scopo. Decido di accertarmi se la mia supposizione sia fondata. E mentre in una magnifica sala di questa meravigliosa dimora dei Re di Francia, riattata sotto il secondo Impero — sala tutta stucchi, ori, specchi, cristalli — impeccabili domestici in livrea, davanti ad una grande tavola che occupa tutta una parete e scintilla di bicchieri, di tazze, di piatti dorati, di argenterie, ci offrono la calda bevanda serale ed ogni genere di rinfreschi, coll’elegante cerimoniale di una grande festa; e mentre noi, ospiti del Louvre, siamo in giacchetta e coll’aria più borghese del mondo, io mi avvicino colla mia tazza di tè nella sinistra ed un biscotto nella destra all’elegante figura del banchiere Thomas Lamont. Con l’aria più ingenua del mondo, ma guardandolo diritto negli occhi, e con il mio migliore accento americano gli chiedo bruscamente: « Quando la finirete di far ammattire quei poveri francesi?» Lamont scoppia in una risata. La prova è fatta. Ma non mi basta; manovro fino a trovarmi, come per caso, a fianco dell’altro mio buon amico americano, il commissario per le finanze Norman Davis, e gli ripeto press’a poco la stessa domanda. Quello sorride, mi guarda maliziosamente negli occhi e si riempie la bocca con un pasticcino. Sono informato. Prima di riprendere la seduta, trovo mezzo di mettere al corrente D’Amelio, che da tempo è sulle spine, e lo prego di controllare le mie osservazioni. Si va all’albergo alle due del mattino. Durante il breve tragitto penso come veramente una conferenza per la pace non sia altro che una dura guerra fra alleati.