[8.vn.ig] Mia risposta a Clemenceau 699 che, avendo già la coscienza poco pulita nei nostri riguardi, teme evidentemente che io risponda per le rime e scoppi cosi un conflitto di cui nessuno potrebbe misurare le conseguenze. A un certo punto mi guarda con espressione indicibilmente addolorata. Mi sussurrano che Clemenceau aveva già avuto un colloquio con Balfour e Lansing prima che si aprisse la seduta, e che aveva loro annunciato di volere spedire a Fiume tutta la squadra; Balfour e Lansing a gran fatica lo convinsero che bastava spedire una sola corazzata in attesa delle mie spiegazioni. Intanto Clemenceau continua a parlare, picchiando i pugni. Io lo seguo attentamente e non rispondo una parola. Ma da tutto il suo discorso, che si riferisce continuamente ai particolari ed agli sviluppi dei disgraziati avvenimenti, comprendo che ha fatto una grossa confusione tra gli avvenimenti gravi del 2 luglio e quelli di gravità veramente eccezionale di domenica sera 6 luglio. Capisco che la battaglia fra i soldati francesi ed annamiti ed i marinai del-VEmanuele Filiberto e la morte degli undici militari francesi è venuta a sua conoscenza non ieri, lunedi, ma soltanto stamani, mentre Tittoni ne era informato fino da ieri mattina; e che Clemenceau ritiene che tutti i fatti accaduti si riferiscano ad un solo periodo, anziché a due periodi ben distinti. Ora mi spiego perché Clemenceau è stato ieri abbastanza accomodante, con gran gioia di Tittoni e meraviglia mia. Ne approfitto subito. Dopo aver lasciato al vecchio Tigre tutto il tempo di sfogarsi a pieno, quando lo vedo esausto e quasi afono, vicino a un collasso per l’eccesso della sua collera, prendo la parola, ed espongo all’incirca quanto segue: « Nessuno pili di me, antico e provato amico della Francia, può deplorare i gravi avvenimenti che hanno tanto commosso il patriota francese che presiede ai nostri lavori. Nessuno più di me è pronto a dargli tutte le soddisfazioni