588 Presento le dimissioni [21.V.19 E dopo un’ora di argomentazioni serrate e taglienti concludo che a mio avviso il nostro compito è ultimato: che dobbiamo sacrificarci personalmente, perché su tutta la nostra azione grava l’errore commesso ritardando il ritorno a Parigi, in contrasto con la parola data. Il mio avviso è che sia nostro stretto dovere di porre i nostri portafogli a disposizione del presidente. Si solleva subito un gran clamore di contrasti. Taluni colleghi sono furiosi. Non vogliono sentir parlare di dimissioni. Parlano tutti, e sono costretto a difendermi. Orlando interviene e lealmente dichiara che gran parte della mia esposizione corrisponde a verità. Soggiunge che io gli ho proposto di appoggiare tutti assieme la formazione di un ministero Tittoni, e che egli apprezza pienamente tale soluzione. Ma soltanto Meda mi appoggia fortemente. Gli altri sono tutti contrari. I due militari, Caviglia e Del Bono, tacciono. Dopo lungo dibattito dichiaro: «Vedo che tutti siete di avviso diverso dal mio. Non c’è niente di straordinario in questo. Ognuno la può pensare a modo suo, ed essere convinto che il proprio parere sia il pili rispondente agli interessi della Nazione. Io ho molto riflettuto ed ho deciso. Prego il presidente del Consiglio di accettare le mie dimissioni. Mi riservo piena libertà di spiegarle al Paese ». A questo punto si scatena una vera tempesta. Orlando sospende la seduta. Usciamo tutti a prendere un po’ d’aria. Rientriamo dopo un quarto d’ora, e chiede la parola Meda, che dimostra come la mia esposizione debba essere tenuta in conto, tanto più che il presidente non la contraddice. Ma i colleghi non vogliono sentire ragioni: non vogliono dimettersi, affermano che le dimissioni avrebbero l’aria di una fuga. E io ripeto la mia dichiarazione: Soltanto le spontanee dimissioni possono assicurare una soluzione della inevitabile crisi, tale da corrispondere agli interessi del paese. Il Paese non è più con noi, la Camera ci negherà la fiducia, facciamo il giuoco di Nitti.