12 Novembre. La giornata di ieri era troppo radiosa, la consacrata fine della guerra era avvenimento troppo eccitante per permettere ai nervi di rimettersi di colpo al tranquillo lavoro di ufficio. Ma non potevo neppure per un minuto dimenticare le mie responsabilità. Devo nutrire cinquanta milioni di bocche, tra italiane ed ex-nemiche. Io sono come un cuoco, che non può mai far festa. Ogni giorno è lavorativo, e più gli altri fanno festa, più il cuoco deve lavorare. Cosi ieri stesso dovetti portare ad Orlando alcuni telegrammi che ho scambiati col colonnello House, Valter ego di Wilson, circa la situazione generale finanziaria, ed altri con Attolico sui programmi di immediati rifornimenti ai paesi vinti. Stamane poi mi sono svegliato con un’idea dominante, in rapporto ai telegrammi di ieri di Attolico. Cosa accadrà degli accordi interalleati per la finanza, per i trasporti, per l’alimentazione, tutti stabiliti in vista del prolungarsi della guerra, ora che quasi improvvisamente è scoppiata la pace? Se l’organizzazione interalleata si disfacesse, l’Italia, anzi tutti gli Stati europei vincitori precipiterebbero in una immediata, formidabile crisi. Resteremmo di colpo senza navi, senza denaro e perciò senza vettovagliamenti: i cambi, i prezzi salirebbero alle stelle ed arrischieremmo di vedere una rivoluzione generale sommergere i popoli scampati dalla guerra. Comunque, i vincitori che ebbero i paesi invasi e la loro attrezzatura industriale o distrutta o radicalmente trasfor-