[19.V.19] Propongo le dimissioni del ministero 579 porto di Gibuti una zona franca ed un deposito di carbone per le comunicazioni con l’Indocina e con Madagascar, e che essa compenserebbe il più largamente possibile gli interessi francesi esistenti a Gibuti e nei territori dipendenti. Ma Gibuti è per l’Italia un punto altrettanto capitale quanto per la Francia. Simon non vede che una sola risposta possibile: quella che ha dato, poiché ciò che domanda l’Italia è la preponderanza esclusiva in Etiopia: e la Gran Bretagna non potrebbe ammetterla più della Francia. Dopo alcuni altri scambi di osservazioni si conviene che la nuova seduta avrà luogo il 22 maggio. La seduta è durata due ore. Ciascuno è restato sulle sue posizioni, causa l’assoluta intransigenza francese. Ritorno all’albergo, mi ritiro nel mio ufficio e scrivo tre lettere di identico tenore, salvo che nei preamboli e nelle chiuse. Ne indirizzo una al presidente del Consiglio Orlando, l’altra al ministro degli esteri Sonnino, la terza all’amico generale Diaz. In queste tre lettere espongo la situazione che si è maturata dal 7 maggio ad oggi, dal ritorno cioè della delegazione italiana a Parigi. Elenco i problemi vitali che non trovano adeguata soluzione. Noto l’accanimento americano e francese contro di noi, che ha assunto anche carattere personale. Dichiaro che a mio avviso nulla è finora compromesso, ma che tutto è in pericolo, anche la tranquillità interna del Paese, se gli attuali componenti della delegazione non sono disposti a sacrificarsi nell’interesse generale. Le dimissioni del ministero sono diventate una necessità urgente. Esse proveranno una volta di più la completa dedizione alla Patria di Orlando e di Sonnino. Mi riservo piena libertà di azione personale qualora i miei colleghi non condividessero il mio avviso. Alle 17V2 ho compiuto l’invio delle tre lettere e mi reco aH’Hótel Crillon, ove Norman Davis mi ha fatto chiamare per discutere della restaurazione dei paesi devastati.