[7.V.I9] A Versailles 533 Trianoh a Versailles. Vi si giunge attraverso viali da parco inglese, fiancheggiati da gruppi di pochi curiosi privilegiati. Il grosso pubblico è tenuto lontano. All’ingresso dell’albergo un picchetto d’onore presenta le armi. Ricordo le mie visite in questa sede a Cadorna e a Giardino, quando facevano parte del Consiglio Supremo di guerra. Qui sono oggi condotti i vinti ad ascoltare le condizioni di pace. Pare risorga in questo lieto scenario di albergo di lusso la truce figura di Brenno; e il fulgido sole di maggio si offusca delle visioni di tante immani battaglie. Mi corre un brivido nelle ossa mentre entriamo nella magnifica sala da pranzo, tutta luce, tutta bianca, tutta oro. La sala è disposta come un’aula di tribunale. Tre grandi tavole coperte di tappeto verde formano il classico ferro di cavallo. Fra le due tavole più lunghe, nel centro, un banco e sei sedie. È il posto dei tedeschi. Dietro una balaustra, è uno spazio per i giornalisti: il solo e scarso pubblico ammesso. I delegati delle Nazioni alleate ed associate entrano rapidamente. Molto notato l’arrivo di Foch. Clemenceau si siede al centro, alla sua destra Wilson e i delegati americani, alla sua sinistra Lloyd George e i delegati britannici. Dopo gli americani vengono i delegati francesi, poi Foch; poi Orlando, Sonnino, Crespi, poi i belgi. Dalla parte opposta i giapponesi, e via via le altre Nazioni. Si distribuisce il trattato, finalmente rilegato in un grosso volume; sono decine e decine di copie. Ognuno che riceve la sua, l’apre e taglia le pagine febbrilmente. Io cerco le pagine del preambolo e delle riparazioni. Tutto è in ordine come convenuto. Quando tutti sono al loro posto, Clemenceau apre la seduta. Fa un cenno a Dutasta, segretario generale della conferenza, e questi ordina a un impiegato nel fondo della sala: « Coup de téléphone ».