dell’ anno (Venerdì Santo e Corpus Domini). Essa è di lana o di seta tinta in rosso fiamma, in celestino, o in amaranto e viene dalla dignanese indossata quale insegna della confraternita religiosa cui appartiene. La guerra mondiale del 1915 che scompigliò le tradizioni e le usanze di Dignano, non potè che dare il tracollo ad ogni reliquia del costume andato, per caso salvato ancora in qualche cassa o in qualche armadio come cimelio dei tempi passati. Il bisogno della mancanza di stoffe che dallo sconvolgimento mondiale derivò, fece levare dalla rustica guardaroba le ultime “ soche gonne, di “ gorgan “ e “ la carpita “, antichissima, confezionata in casa per tagliarla e poi cucire quelle scarpe o pantofole alla friulana che le donne portano volentieri quando accudiscono alle faccende di casa. Fu cosa seria dunque andare alla ricerca delle “ manighe “ di drappo nero, di quelle di broccato policromo o di damasco — drappi questi che nei tempi andati formavano lo sfarzoso abbigliamento delle nostre donne — quando Venezia raccolse nella Piazza di San Marco in un imponente raduno, tutti i costumi d’ Italia (18-8-1929). A grave stento si riuscì a scovare qualche capo di vestiario dimenticato e reso dal tempo inservibile per altro lavoro, tanto la trama e l’orditura erano sfilacciate e guaste. Si continuò nella ricerca e la donna non si stancò di rabberciare. In questo modo si potè avere con fatica la “ camiziola de greizo M, il “ curito “, e le “ braghe de gurgan “ col “ senzito “ già abbandonate dall’ uomo. Anche 1’ acconciatura del capo e i vezzi della donna furono ostacoli da superare. Si riuscì però in tutto e le nostre ragazze furono a Venezia vestite con drappi originali scelti con rigore artistico, che ricordano il ’600, il ’700 e 1’ 800, perchè anche il cappello di lana nera, greve e rigido, fu rintracciato, quel “ capei largo “ che la donna portava in segno di lutto o quando andava in campagna o nei giorni delle “Rogazioni“. ... 233 ...