cui il capo esercitava la potestà sui figli e sui nepoti e talvolta anche sui pronipoti. I maschi, sposati, tutti vivevano sotto il tetto paterno ; dal padre dipendevano in ogni circostanza : nelle spese, nei guadagni, nei lavori. Le nuore vivevano in perfetto accordo con le suocere, trascorrendo una vita priva di litigio, nella pace del focolare domestico fra la rocca e l’annaspare, non badando a qualche osservazione della vecchia. Col tempo muta ogni cosa : i rimbrotti dei vecchi sarebbero ora mal sopportati e per ischivare guai è meglio ascoltare la voce della massima popolare : “ Ogni usèl fa al so’ nèi “ che è a quanto dire separarsi subito per formare la propria famiglia perchè “ casa mèia, pan e acqua e veita meia “ Magari oun caie sulo ma con 1’ udùr de casa soia “. L’ uomo a Dignano era, fino a questi ultimi tempi, tutt’ altro che cosmopolita, così i maritaggi seguivano sempre fra individui del medesimo paese e più volte tra quelli della medesima contrada, così non esistevano incroci di razza e quelli del rione del Pian non si incontravano facilmente col le occhiate amorose delle ragazze del vecchio rione di S. Giacomo. Questa vita aiutò a serbare a lungo usanze e dialetto antico. E dicevano : “ Pòvaro quii che va a catà la pìgura fora del sò tegùr. Povara quila pìgura che va fora del so’ ciàpo “. Era però impossibile evitare l’eccezione, e se la scelta poi non corrispondeva in conformità alla regola, non mancava la sentenza : “ Al ciapo jò saempro la pìgura rùgnusa “ Nel ciapo a se cata saempro qualco pìgura nigra “. “ Pòvaro al pastùr che nu cugnùso le pìgure soje 286