delle cisterne e fiorisce nell’ estate. I nostri contadini 1” adoperano ancor oggi per guarire l’enfiagione della milza come pianta medicinale solutiva. Prendono del lardo vecchio, possibilmente rancido, che assieme all’ erba “ Erminia “ viene con un coltello pestato e ben tagliuzzato. A questo tritume si mescola quindi 1’ albume di tre uova, dimenando si da ridurre il tutto in una poltiglia omogenea ehe viene distesa sopra un pezzo di tela nuova o di stoffa. La tela con il tritume, viene applicata sulla regione della milza al calar del sole e lasciata per 24 ore, assicurandola con una fasciatura. Dop o, se di bisogno, si rinnova il medesimo em-piastro per una seconda o terza volta, sempre applicandolo sulla parte ammalata. Passate le 24 ore si leva la fasciatura ; sulla tela si devono riscontrare delle macchie sanguigne, in caso diverso, la milza non era infiammata, non era ammalata. L’apparire invece delle macchie di sangue è segno che il disturbo esisteva, che sotto l’azione dell’erba e del lardo si è dileguato e che 1’ interiore è guarito. La verbena, come pianta medicinale, era in gran voga già nei tempi antichissimi ed i maghi la adoperavano nei loro mestieri. Per guarire in altro modo la milza malata, il nostro popolo usa ancora altra cura empirica. Prende una lista di corteccia d’ albero di noce (co-chèra) che non abbia fruttificato ancora. Essa deve avere 10 cm. di lunghezza e almeno 4 di larghezza e viene messa in infusione nell’ aceto di vino per 24 oré, dopo di che la corteccia infuserata si applica sulla parte ammalata. Il sofferente deve tenerla così aderente fino che può resistere e sopportare il bruciore che sente alla pelle. Si capisce che la corteccia del noce giovane preparata con 1’ aceto di vino possiede sostanza revulsiva ed è un ottimo “ pizigante “ vescicante. I mezzi quindi atti a conservare la sanità del corpo 250