229 efa » (1) come si esprime il sig. Scerbina, ma il popolo non è poi nemmeno un tale ipocondriaco, come V ipocondriaco del sig. Pissemskij (2) che ha paura di tutto : non appena soffi il vento, subito la morte. Certo, del fantastico non c’ è bisogno alcuno. Ma il sig. Scerbina stesso considera il suo « libro per il popolo » in un modo cosi esagerato, come se in esso sia il principio e la fine dell’avvenire del popolo, la sua istruzione, la sua università, la sua felicità per mille anni; egli si immagina, che basterà che il popolo legga o senta anche soltanto una riga non a proposito, e immediatamente tutto è finito. Il sig. Scerbina è a tal punto diffidente, che perfino le favole di Krylov vorrebbe che non si chiamassero favole ; egli propone addirittura di mettere soltanto il titolo, per esempio: « Il contadino e l’operaio » » Due contadini » e poi firmare » Krylov ». Tutto questo perchè gli pare che la favola debba essere accolta russa di quel periodo (gli anni « cinquanta »). Sull’ Oblomovismo esiste un saggio magnifico del Dobroljubov, ma ne parlano in generale tutte le buone storie della letteratura russa. N. d. T. (1) Rendo le parole greche avròc è