45 rebbe di chiamarlo poeta dell’album. Egli scagliava maledizioni e soffriva, soffriva veramente. Si vendicava e perdonava ; scriveva e rideva ; era generoso e ridicolo. Gli piaceva di sussurrare delle strane fiabe ad una giovane fanciulla addormentata e turbava il suo vergine sangue e dipingeva davanti a lei strane visioni, quali ella non avrebbe dovuto ancora sognare, specialmente data l’educazione così altamente morale, che ella aveva avuto. Egli ci raccontava della sua vita, le sue avventure amorose, in generale pareva quasi che egli ci mistificasse ; non si poteva capire bene se egli parlasse sul serio o ridesse di noi. I nostri impiegati lo conoscevano a memoria e si mettevano a far la parte dei mefistofeli, non appena uscivano dall’ufficio. Qualche volta non eravamo d’accordo con lui, ci sentivamo oppressi e indispettiti e tristi e provavamo pietà per qualcuno e ci lasciavamo trascinare dalla collera. Finalmente si stancò di noi; non poteva vivere d’accordo con nessuno e in nessun luogo ; ci maledisse e ci derise « con uno scherzo orgoglioso di figlio ingannato da un padre rovinato » e volò via da noi, « E sopra le cime del Caucaso, L’esule del paradiso passò » (1). L’abbiamo seguito per molto tempo, ma finalmente, è perito in un luogo qualsiasi — senza scopo, per capriccio, in modo addirittura ridi- (1) Dal « Dèmone » di Lermontov. N. d. T.