cora considerarsi come un aggregato di alcune regioni, più che come uno Stato. Le provincie del Nord potevano avere ben scarsi rapporti con il resto del Paese, prive come erano di arterie nazionali che permettessero le comunicazioni tra zona e zona. Gli edifìci pubblici mancavano in buona parte. Si presentava la assoluta necessità di iniziare le bonifiche per permettere la vita del Paese; i pochi ponti creati durante la guerra erano andati distrutti e intere provincie restavano così separate per lunghi periodi dal resto della Nazione. Questo stato di cose, naturalmente, oltre alFimpedire qualsiasi sviluppo dell’Albania risultava di grave nocumento anche all’amministra-zione politica ed alla tranquillità del Paese. La difficoltà di spostare truppe ed il disagio economico che si manifestava frequentemente in alcune regioni, davano libero campo alla possibilità di fomentare rivolte, moti, disordini, mantenendo così uno stato di quasi continua anarchia. Non è da dimenticare che l’Albania usciva dalla guerra e dai successivi assestamenti postbellici più o meno con lo stesso grado di civiltà e di avanzamento in cui l’avevano lasciata i Turchi nel 1912, non molto meglio, cioè, di quanto essa fosse allorché i Turchi la occuparono 500 anni prima. Per eliminare tutto ciò occorrevano capitali in misura ingente, capitali che l’Albania, già povera e stremata dalle guerre, non poteva trovare in sé. Fu così che, in seguito all’invito della Società delle Nazioni, il gruppo italiano concluse e concesse il prestito di 50 milioni di franchi oro, effettuato per il tramite della « S. V. E. A. », società all’uopo costituita. Il prestito stesso, che è stato garantito dal Governo italiano, atto questo che gli albanesi hanno apprezzato al giusto valore, può essere e-sclusivamente utilizzato per effettuare lavori pubblici, assicurando in breve tempo la possibilità di sviluppo dell’Albania. Il prestito, garantito, tra l’altro, da parte albanese, con i proventi delle dogane, è stato negoziato al tasso del 7,50% annuo; interesse tut-t’altro che eccessivo se si considera il rischio che si assume la S.V.E.A ed il saggio a cui tali operazioni, in favore di nazioni salde e progredite, vengono normalmente trattate dai finanzieri della City o di Wall Street. Da molte parti si è gridato che l’Italia ha così comprato l’Albania, che il giovane Stato non potrà mai essere in grado di restituire questo capitale, gravato di interessi, e che pertanto esso cadrà fatalmente sotto l’egemonia italiana ; che l’operazione è stata effettuata a condizioni esose e via dicendo. Tutto questo, se non fosse cattivo, sarebbe ridicolo. Significa anzitutto il voler giudicare non con l’animo della grande nazione che presta il suo aiuto generoso alla giovane sorella vicina, ma con la mente gretta dell’usuraio di non importa quale capitale europea od americana. Ma la bontà e l’onestà degli intendimenti italiani sono confermate dal modo stesso con cui è stata stabilita l’utilizzazione del prestito, il ~ 92 ~