<584 DE’FATTI VENETI. non potè più refidere. Rimandò à Roma in fretta Virginio Oriìno> Fjtcrna in ch’era pallato à trottarlo, ed eglr,caualcato con l’altra parte delle forzo ^’edJr nel ^uo ^eSno P0^ Pre^° ^ Garigliano, quiui in luogo aliai proprio fTÌbcefi, fperando di poter’impedire al nemico il paifaggio Rifolfe Carlo, do-Ddfo dTan P° sbrigato« da Fiorenza, di andar con l’efercito à Roma, e mentro dSàeJma.dauain procinto permuouerfrglicóparueroinnantiDomenicoTre-^imbajcM- uigiano, & Antonio Loredano, Ambafciatori di quella Republica., 7cnetlar ° ordinaria feguitarlo, per neceilario corteggio di Prencipe grande à Prencipe grande, & amico, capitato in Italia ,• &; egli con gli deifi te-ilimonij di grandezza, e di dima li accolte. Hauea già il Rè anticipatale«™ il mente auuiiàto il Pontefice della fùa deliberata comparfa in Roma à Mpntdlr’ baciargli il piede, e Alefìandro,non troppo curandoli di quell3 honore, à Carlal’an procurò in rifpoda di ratteneruelo con varij rifpetti, e fpecialmente ma'm ^ ^on 1 Alterne conuulfioni,ardenti allhora in quella Città. Ma non per-Vì \'mmi ciò fe ne adenne la Maeilà ilia ,• gli reicriife, che douea fciogliere vil, modo °gm vot°à San Pietro, e s incarnino per Siena verio Viterbo. Fece alto Si fh;ma vn qualche giorno in Bracciano 5 e Virginio Orfino, che ne teneua il Do-focoà Brac minio, fcride, ritornato à Roma, ad vn fuo figlio di nome Carlo, che jrordinando già inchinandofiogn’vno alla fortuna Francete, douede anch’egli ob-]l^c'r.e fedirla, Negli ileflì giorni Ferdinando, già toltoli dalla Romagna., i e/orta 'li entrò in Roma con le reliquiedeiretercito, eteco infieme il Conte di andar nei Pitjgliano, e gli altri Capi affidenti. Quando Aleifandro Io vide,n’heb-p ri be tra quella edrema appreniione vn eftremo con tento 5 ma ben toilo tira in ss? conuei] ne va ri a rii. Conobbe predo,che nèmen’erano quelle aggiun- 11 % cario te militie badanti à combatter Tingreilo a' Francefi, horamai formida-cntramFg- bili j e fù egli dedo, che,quandointete auuicinaruiii àgran padi Carlo, efortò Ferdinando, e gli altri à sfrattami, Mandartene in Regno à difenderlo. Accontentirono tutti al necedario configlio $ ritiraronfi con le lor genti àTiuoli, eilPapatrà idubbij allhora, òdi redar’in-Roma,ò di fuggirai, fi rifolte di ricourarfì in Cadel Sant’Angelo, fe-guitato da fcarfo numero di Cardinali,e vi fi prefìdiò quanto più potè. Entrò Carlo in Roma per la Porta del Popolo, tutto armato à cauallo, econlalanciafòuralacoteia, come già in Fiorenza. Variò la fama, circa il numero dell’etercito fuo, e ne variarono gli Scrittori, chi di venticinque, chi di quaranta mila 5 conciliatafi però la diterepanza,che nel minor numero padade ì’Alpi, e che poi fino al maggiore vi fi au-bi amerà dei mentade in Italia. Nefece alle tré della notte, venendo il giorno, vl-JU°i 494° timo di quell’anno, l’ingreflo, eie militie fino alle vndiciìioreanda-seguitato rono in ordinanza filandoui. Furono feco ad accompagnarlo due da due car Cardinali, mortali nemici del Papa, AteanioSforza, fratello di Lodo-cdonncjL uico, e Giuliano della Rouere, e vi andarono infieme Profpero, eFa-britio Colonna, inquietatoti di Roma, ócalioldo del Rè. In quell* horrorefpauenteuole della notte, più tentiafilodrepito, che fi ve- dede