395 MDVXIII, MAGGIO. 396 IO rtiilia stara di formento a stara 6 per ducalo, da Galengo, Chiavili, Petroselo corsari, quali avea preso in golfo di Lepanto, pur di Ragusi: mai ne vuoisi imo slaro. E però, el non voia creder le Signorie Vostre, et li afermo che mai comprai cosa del mondo da loro in 48 anni son stato per el mondo, e maxime hora eh’ io ho 62 anni, et ho el piede ne la fossa, con uno solo fiol de 11 ha fato la mia consorte; pro-tnelo a la Signoria Vostra ch’io mi forzo non andar a cha’ maledela per mio (io nè per altri. Ringralio Dio lui ara più da mi, che io non avi dal qu. mio padre; poi s’il vorà farse richo, li à dato gratia se fa da ben, è doto in greco e latin, e lui Idio sia sempre ringratià. Ma sapi la Serenità Vostra, anchor eh’ io sia grosso homo e galioto, il tempo mi à vanzà sempre; ho auto piaser de lezer qualcosa vulgar, el in quei libri ho trovalo molti dili savii, el mi forzo conservarli e far qual i elise, come questi dico.bora a la Serenità Vostra stimma laus consularium est semper vigilare, cogitare, esse animo semper ali-quid prò llepublica aut facere aut dicere. Siehè Serenissimo Principe, non atendo ad altro che a l’ho-nor e ulele de quel inclito Stato, et Deus sit mihi testis. Siehè dico, di la querela fata contra de mi a lorlo, son certo la Serenità Vostra sarà siala chiarissima, perchè io li mando la fede di .... le cride fate per mi, e di aver mandato a socorso di la nave ragusea la galia Contariua, Candida, molle barche; 235 io star sul turion con bona prova per far trar l’ar-telaria al corsaro se si acostava. Veramente mi par aver fato più del debito mio; che ragusei non aria fato la mila per una di la Serenità Vostra, imo l'ano el contrario ctc. E li afermo, ragusei ha perso la sua nave per sua tristizia e pusililà d’animo, che ’1 cor-sar zà haveva tolto l’altra volta e l’avea ubandomi, e slargato di essa nave; ma visto che lor abandonò la nave e scampò con la barella, lui armò la sua barella e mandò a prender dila nave che era a la vela ; siehè non dagi la colpa a mi, ma a la soa Insidia. Et a firmazion di la verità, dirò questo : optime ac ju-stissime vivemus; si quid in aliis reprchendi-mus, ipsc non faciamus. Scrive, non voria roma-gnir con sto capitolo: si dagi cargo al Provedador di l’armada vadi a far processo; non voio dir allro, salvo aver pacienlia e dir cussi qtiociimque bene ageris ad Dami referre, e con questo mi passerò. Domando di gratia a la Serenila Vostra la mi voia perdonar si ho scrito prosoutuosamenle, e sia sialo fastidioso e longo ; ma habi compasiòn a la grande passion. Pur mi ho confedà nel dito del savio Saio-mone, che dise age quid debes et non timerc ju- ges, poi in la tanta Immanità sua che è piena di carità e bontà, et hano compassion di un povero zenlilho-mo provedador e relor, quando i sono Iratali a torlo e pechà, corno son stalo io. A la grazia di la qual continuamente per sempre mi racomando. Polo Valaresso provedador al Zante, manu propria. Die 8 Marcii. Stimarlo di una 1etera di sier Antonio Jusii- 236" nian orator nostro, data in Ambosa, a dì 26 Aprii lòl8, narra il batisar dii fio dii He. Come la longeza di la cerimonia di eri a di 25, fo il zorno di san Marco, nel balizar dii Serenissimo Dolphino, clic durò lino a poco manco di bore 3 di note, è slà causa non ha expedilo le lcllere, et l’andar suo stava in dubio rispelo la indispositione sua, tamen, havendo monsignor Gran maestro, per più vie e per noncii, faloli dir non restasse di andar perchè non andando seria di sconlenleza dii Cristianissimo el illustrissima Madama, unde vi volse andar, e Dio lo sa con che travaglio, per essersi levato con le febre e ritornato con majore, et Madama e monsignor Gran maestro, vistolo, li mandono a dir ch’el tornasse a caxa. Scrive fece qualche renitenza, con farli intender, poi che l’era andato restaria, unde lui medemo Gran maislro li vene a dir che ’I mi faceva comandamento da parte dii Re che ritornassi a caxa. Aceptoe la comodità e ritornò a caxa lassando il suo secretorio lì, acciò l'usse presente a vedeu l’ordine; il qual fu.questo, zoè: 11 iiol fu levalo ne l’imbrunir di la sera da la sala de Madama, qual era adornala e sofìtata de resta-gno d’oro e d’arzento mollo belli, parte di qual erano soprarizi. In capo a la sala era uno belissimo tornoleto da i travi in terra, dentro il qual era il fiol: dove intrali li illustrissimi duchi di Barbon et de Lanson, fala revcrentia al lello, levornu la coperta che era di reslagno d’arzento solo la qual era il liol, il qual fu levalo per madama de Lanson e dato in brazo a lo illustrissimo duca de Urbino, che lo portò lino a la chiexia, precedendo gran quantità de signori e zenlilhomeni, tulli vestili d’oro e d’arzento el de seia, con (orzi in mano. Immediate avanti il Delphino erano li più honorali signori, Lanson, Barbon, Van- (1) La carta 235* è bianca.