39 MDXIV, MARZO. 40 25 del passato, le qual son certo siano ben capitate per esser tornato l’homo mio che le portò et consignóle al locotenente et provedador a Sazil ; lo qual homo mio me portò due brevi di Vostra Serenità, uno di 24 et l’altro di 25, con letere di essi magnifici provedador et locotenente. Furon essi brevi da me ledi, et dal magnifico missier Theodoro et li altri tutti valenlhomeni ascoltati con quella riverentia e gaudio che se conviene ; et certo, Serenissimo Principe, furon oportunissimi, perochè pur erano alcuni di questi balestrieri che, vedendosi mancar li cavalli per manchamento de aqua, stavano di mala voglia, et dicevano in su la faza mia, perdendo li cavalli mei voglio perder anche la vita; in modo che Dominica, havendo hauta questa letera dal capitanio di Trieste signata numero uno, la qual mando a Vostra Signoria, io li risposi come apar in questa copia. Me rescrisse subito ne la forma che vederà Vostra Signoria. Mi parse, così exhortato da tutti, ascollarlo; così venimo a parlamento, presente sempre missier Theodoro. Toccomi infine, dopo molte cosse, di trie-gue per alcun /orno, et finalmente mi pregò esso capitanio di Trieste che io consentisse ch’el capitanio di Lubiana venisse ancor lui a parlarmi. Così satisfeci ; lo quale è homo di maxima autorità. Parlò longamen-te et con molto artificio, concludendo di voler una tregua.El fu risposto lionorifice et acomodatamente, et fu determinato che la matina seguente si piglieria resolutione ; et certo, Serenissimo Principe, lo caso nostro era dubioso, non per altro rispelo che di l’a-qua, trovarsi tanti cavalli de precio, tanti altri animali de li contadini senza un gozo (goccia) d’aqua, 700 anime, li quali tutti viveno a mio pane e vino : pensi Vostra Signoria s’el peso mio è grande. Io et Theodoro chiamasemo più volto li sui balestrieri, et io li homeni mei, li proponevemo le difficultà nostre, sempre ne davano bone parole ; ma pur li vedevamo alcuna volta alcuni di loro non star saldi, et dicevano poi il contrario ; in modo che sapendo loro de le tregue dimandate, per un mese le volevano. Zonse per aventura l’homo mio la sera, che fo l’ultimo dii passato, et la matina, chiamali tutti et soldati e fanti, et contadini, li lexi le letere dì Vostra Serenità, le quale hebero tanta forza che tuli lacrimandole ascoltavano. Et lo primo che parlò, essendo dimandalo da me et da missier Theodoro qual fusse la mente sua, fu missier Jacometo da Pinadelo, lo qual disse, per sua opinion, che più non si dovessino ascoltar li nemici; ma se gli desse una gagliarda repulsa, et che 19* più presto voleva morire che componer, con molle bone et honorevol parole. La qual sententia fo da tutti et soldati et contadini sequita et laudata. Era a lora venuto lo messo de li ditti capitani di Lubiana et Trieste per lo salvoconduto per venir a far la conclusione ; li fu risposto, di nostro ordine, ch’el referisca a li sui signori che non venisseno nè mandas-seno più, perchè non volevamo nè tregue, nè patti ; ma lor facessino lo pegio che sapeano, che etiam noi fassamo Io debito nostro, et così se dissolse la pratica nostra. Lo stato nostro è questo : nui damo a lì cavalli tanto vino al zorno; quella poca aqua che ha-vemo, la reservamo per lo pane ; non si cocina, ma solo facemo rosti ; così menamo la vita nostra felice et contenta cognoscendo far cosa grata a Vostra Serenità, determinati tutti di morire prima che mancarli. Questa matina sono parliti circha 600 fanti di nemici con 5 boche grosse et alcuni falconeti, e sono andati a la volta de Venzon, credemo, per la impresa de la Schiusa, la qual, Serenissimo Principe, è importantissima, et prevedisi, per riverentia de Dio, che se la capitasse in man de’ nemici, non ardisco a dirli quanto di male che ne seguirà. Io ricordo che Vostra Serenità volantissime faza venir le gente sue a la villa de Traves, apresso Castel Novo, et lì alozi-no et cavalli et fanti, et lì si faza mazor adunamenlo di gente del paese che si po’ ; lì resti lo magnifico gubernatore cum le sue guarde et scolte sotto bon riguardo ; lo sito è tale che sempre si po’ salvare. Lo magnifico missier Joan Vilturi, subito che siano zonli lì a Traves, se avii con 200 cavali lizieri electi, et siano fra questi di slratioli, li quali son temuti da costoro, a la volta de la Cargna, et vada per lo canal d’Arzino; sono passi streti ma sicuri per li homeni che li tengono, che sono boni marcheschi. Arivato a Inson in Cargna, et concili la Cargna a le arme, la qual senza dubio lo farà per havermelo promesso, e vada a le spalle di quelli pochi che sono a l’impresa di la Schiusa, che senza dubio li fugirà et li farà perder le artigliane ; ma questa voi una celerilà cesa-riana. Vostra Serenità la solicili come li pare che meriti la importantia di la cosa. Io per me vedo questa cosa francha, e Dio volesse che io fussi di fora per tanto che io facessi questa impresa, la qual è facile et sicura purché la sia presla et ardita ; et credami Vostra Serenità, ch’el Irato è bellissimo. Da Sazil a Traves, sono miglia 20, ma io annuntio a Vostra Serenità che come li nemici sentano lo adveni-mento de li nostri in Cargna, si fugano, lo ritorno suo, in ogni caso, sera sicuro o per la via stessa che sarano venuti, overo per la via di Cadore. Nui stiamo qui assediati come prima, perchè tutto lo resto di lo exercilo è qui, e sempre ci tengono dì et notte