555 UDXX1X, GIUGNO. 556 Di Roma, vene lettere, di l’orator nostro Contarmi, di 18, 20 et 22. Lettere di poca iinportantia. La conclusion, che ’I papa, hessendo in concistorio, li era venuti li soliti dolori. Da Roma, di li augno, al signor mar chexe di Mantoa, vidi lettere. Qua si tratta accordo fra li signori Colonesi et lo abate di I’’arfa per mezzo di nostro signore et del signor orator cesareo qui, et sperasi habbia a seguire bon efelo ; cosa che sarà mollo a proposito per diversi respelli, maxime in questi tempi che li racolli sono in essere, aziò che si possino fare senza disturbo, et che ’I paese non habia ad essere depredalo come è stato fatto fin bora. Circa le cose di Perugia non è seguilo altro. Intendesi che Malalesla Ba-glione è provisto, di sorte che poco se li può no-cere, se non si fa maggior apparalo di quello che bora ò in essere; et stimasi che usirà fuor di Perugia per difendere il guasto del paese. Intendesi che Signori fiorentini non manchino di somministrarli secondo il bisogno. 372 Da Roma, di Zuan Maria da la Porta, di 20 augno 1529, qual è nontio del duca di TJrbin, scrive a domino Zuan Iacomo Leonardo orator del duca in Venetia. Da novo non ho più di quello vedereti per l’altra mia, se non che l’impresa daPerosa pare che si renovi, et che ’I signor Malalesla Baione s’era spinto inanzi verso Spello, con animo di combaler col nemico prima che ’I ponesse piede nel peru-sino. De la pace Ira li dui re noi ancora qua siamo in la medema opinione che seie voi altri di là, et vedese mollo ben che ’1 Christianissimo la deve tenere per fatta, non havendo date forze per espugnare Milano, et manco per impedir la venula in Italia di Cesare ; ma Dio voglia che Soa Maestà habia pensalo bene il caso suo, ch’era di far gagliarda guerra per haver bona pace. Lettera del ditto, di Roma, di 22. Magnifico fratello honorandissimo. La differenlia che fu sotto Monopoli tra la na-tion spagnola et la italiana si è inteso che nacque da questo: che volendo il marchese dal Guasto persuadere a dar la balaglia ordinaria a quella terra, convocalo lutto l’esercito fece l’oralione ad usanza degli antichi, comemorando le laude et la gloria acquistata da dello exercilo in lanle bataglie el in «pugnare et deffendere diade, sichè stati erano sempre vilorìosi in ogni impresa, per il che bisognava considerasseno quanto de l’honore et de la gloria loro si venesse a diminuire, comportando che questa minima terra havesse ardire de resistere a la tanta verlù loro, a la quale Italia tutta con la Pranza insieme non haveva potuto resister. Laonde conforlavali a prepararse a la espugnatimi di questo loco, sapendo c riissimo che da la deliberalion loro ' ne seguirebbe indubitatamente il desiderato effetto, (tessendosi veduto sempre nel passato che a fare li effetti era bastato sempre il deliberarsi di farli. El quivi scriveno che disse ciò che potette mai imagi-narsi di dire, per incitarli a questa balaglia, mostrando in sé stesso tutta quella cupidità de honore che possa mostrare qualsivoglia capitano bramoso di honore; avenga molli attribuiscano il tanto ar- 372* dente suo desiderio di questa balaglia più loslo a desporatione che ad alcuna ragionevole speranza che P havesse di poter sforzare quella terra, tanto ben presidiata el soccorsa per maro de ogni cosa bisognevole. Spagnoli risposeno tenere mollo ben a memoria P honorate imprese fatte per essi in Italia a servitio del loro re, per il quale erano più che mai disposti non recusare percolo nè morte ; ma che ben parevagli poco conveniente et manco servitio di Cesare di esporre lauti valenti soldati veterani benemeriti a la morte per si minima cosa, come quesla di Monopoli, non dipendendo la maggior parte della liberalion del Regno dall’ acquisto di quello, perchè mollo meglio era di conservarli por qualche signalala impresa a maggior servitio di Cesare, nondimeno se li italiani voleano darla batalia, eh’ essi promettevano di fargli spalla. Al che li italiani replicarono che erano apparecchiati di darla ogni volta che ad essi fossero date lanle paghe de P avanzo loro, quante erano state date a spagnoli, a li quali offerivano aueo essi di fare spalla quando egli la volessero dare, sieome parevagli che fossero tenuti di far, come quelli che bave vano voluto sempre tutte le loro comodità, guadagni et paghe, si come a P incontro essi erano stali sempre maltrattali et peggio pagali, non ostante che in ogni cosa havessero falla si ben la parte loro a servitio de Cesare come quelli, et che la virtù loro in alcuna impresa non si fosse mai cognosciuta ulteriore a quella de spagnoli. Da li quali tessendosi alzata la voce con parole ingiuriose conira italiani, questi furono sforzati, così in balaglia come slavano, de far pruova se spagnoli erano più che gli altri ho-meui. Così, comenzatosi un mezo fallo d’arme, quei