eh’essi non erano dei belligeranti regolari. Il ministro Di San Giuliano poteva replicare in quel tempo all’ interpellanze dell’on. Chiesa e dell’on. Galli cori poche battute generiche relative allo stata quo e coll’espressione di vaghi consigli di riforme: la Turchia doveva restare com'era, nella sua integrità. Di San Giuliano sembrava davvero aver dimenticato le chiare lettere scritte da lui, semplice deputato, al Giornale d’Italia. L’Italia ufficiale apprestava proprio allora le armi per la spedizione di Tripoli cui era sospinta dalla propaganda incalzante d’un gruppo di giornalisti nazionalisti. Questo partito infatti, sorto con una punta contro l’Austria dallo schiaffo della seconda Annessione della Bosnia, si era grado a grado distolto, seguendo la linea di minor resistenza, verso una politica di espansione nel Mediterraneo condotta invece contro le potenze occidentali coll’aiuto della Triplice Alleanza e dell’Austria. Insomma in questo momento decisivo l’attività diplomatica italiana è parsa inferiore non solo alle audacie del periodo crispino, ma anche all'abilità dimostrata in Albania durante tutto il decennio precedente e della quale si trattava soltanto di dover coglier i frutti. Così tutta l’annata della guerra di Tripoli, da\Y ultimatum del 26 di settembre alla data della stipulazione del Trattato di pace di Losanna, ha segnato una lunga parentesi di attività nostra nelle cose balcaniche. Scuole ed ufficii postali nuovamente chiusi, circa novanta milioni di importazione in Turchia perduti, benché l’Albania venisse in parte eccettuata dal boicottaggio turco per la ferma resistenza dei commercianti di Valona e per l’interesse stesso dei rifornimenti militari di Scutari. Fermata dal veto austriaco nelle sue prime dimostrazioni militari sulle coste di Prevesa, l'Italia cedette il campo senza resistenze, rinunziò alla diversione balcanica che le