MCCCCCII, LUGLIO. 202 do furiano, Itera, fece lar 2000 sguizari e li mandava a Zenoa, per passar in Reame. Dava fama farne 4UOO «Uri in favor di fiorentini. Et il pontífice mandò do legati dii re, qualli fono el cardinal Orssini e il cardinal San Severino ; qualli perhò venivano per sue fazende, et il papa li commesse alcune cosse. Veneno a Veniexia in questi zorni li oratori ungarici, per numero 6, contra la raina ; e fu preso darli ducati 100 al zorno per le spexe. Ma lhoro non li volseno ; e fo neccessario farli le spexe per T oficio di le raxon veehie. E si dice ditti hongari aver porta assa’ ducati, perchè comprò molte sede, specie e altro; e fo dito, havia libertà dii re di spender assaissimi danari in adornar la raina, la qual si sposerà a Venecia coram principe. Di mar, vene 1etere dii Zante. Di 30 fuste turche erano state a Legena ; et quelli di la terra si difeseno virilmente. A Trento achadete, che ivi si ritrova domino Antonio Maria di San Severino, qual manibus pro-priis amazò missier Jacomo Chalapin, dotor et cava-lier, primo homo di Trento ; adeo ivi fu gran rumor. A Venecia fu fato una sentenlia, per li signori di note, assa’ notanda, contra uno Alvise Beneto, popular, stava a San Zane Polo, per haver fato che soa moier si desse piacer etc., e l’avadagno teniva scripto in libro e con chi, che ’1 ditto becho sia vestito di zallo, con una corona con corne in testa, su un aseno sia menù per la terra, a noticia di tutti ; et cussi fu fato. A di 30 Imo. Di note fo cativo tempo e la saita, dete a San Thomà, amazò una puta cusiva al focho ; etiam dete altrove. Aproximandosi il venir di la raina di Itongaria in questa terra, fo terminato farli una festa in palazo; item si armi una galia e una fusta e vadi per canal col buzintoro; e cussi fo fato. Et fo 15 para-schelmi e falo bella festa. A dì 31. Fo eleti in coleio uno sora il cotimo di Damasco, in luogo di sier Alvise Conta ri ni, a chi Dio perdoni, sier Piero Zen, quondam sier Catarin, el eavalier. 138 Copia de una letera, data in Milan, a dì 7 avo- sto 1502. Trata di la venuta lì dii ducha Valentino. Eri serra, circha bore 24, vene in questa terra Valentinos, con cavali X in 12 e non più, e intrò in castello. Questa rnatina el re andò a messa, et lui è restato in castello; et se dice, lui esser (ulto sbru-iato el cullo per el cavalehar. Ma, hessendo a messa, el marchexe de Mantoa ha ditto de sua bocha, me presente, che ’1 voi combater col sopradicto Valen-tinos, et che ’1 non voi tirarse el cavai a dosso, ma che ’1 voi combater a pe’ a la todescha, arma con el pelo, brazali, pestaruola e pugnai ; et in fine dii suo parlar disse: Forsi libererò la Italia; et tal parole è certissime. Et al primo dii presente el marchexe preditto à ’uto conduta dii re 150 lanze. Li foraussiti di Milan sono qui in Milan; sì che è da considerar cornine vanno le cosse. Questo è il pater nostro fatto a Milan contra francesi. Pater noster, odi i lamenti de nui lombardi humilmente, per le crudel e diverse offese che ne fanno li soldati francese, tanto che a faticha levare possiamo la mente. Signore, qui es in ccelis, chi è quello che in questo tempo non sia tribulato e forsa disperato, che possa perfelamente sanlifichare no-mem tuum? Se questi soldati francesi non venisseno a tribulare, cerchasemo talle cossa adoperare, che vegnissemo ad regnum tuum; ma questi soldati francesi, che disfano le nostre arnesi, ne tetano pur cussi senestramente, che credemo, Signore, non sia de vostra mente; che si pur è di vostra mente, fiat voluntas tua. Saresemo perhò contenti, che de man di talle zente rea ne chavasse incontinente, a zio che qui fosse paxe sicut in coelo. Mai fo veduto tal soldati de ogni Immanità privati, come ne haveti dato in (erra. Vengono a caxa nostra con grande minaze, che pareno luppi rapaze, et magnano panem nostrum; fosse una volta a la setimana, a nui parebe una cossa vanna, ma l’è cotidiana. Et veneno alcun de lhoro descognosente, che non se aricorda de amico nè di parente et cridano superbamente, di gando: da nobis hodie et dimitte nobis. Ma questo non basta, che ancora rescuoder voleno debito nostro. Qual è di lhoro cussi liberale, che sia di sorte talle, che voglia lassare dinari a li soi debitori sicut etnos? Quando andiamo per la terra o ver per le strade, non se sente se non cridare : Sta forte! sta forte, vilano, che tu sei de’ debitoribus nostris; 1’ uno e l’altro se dimandano, e da ogni canto ne circondano et ne prendeno, in presentia de ogni zente, che pareno sbiri dispiazente, tanto che indu-chano in tentationem. E perhò, Signor Dio, te vogliamo pregare, che da questi soldati ne voglij guardare, a zio siamo liberali a mulo. Amen.