437 MDXX1X, AGOSTO. 438 282') Summario di lettere del conte Alberto Scotto, date a Cassan, a dì 22 avosto 1529, scritte a Zuan Jacomo da la Croce suo secretano, ricevuta a dì 24 ditto. Mi è sopragionlo uno, venulo in gran fretta dal signor conte mio pntre, con una di sua signoria. Mi avisa come il papa ha scritto al gubernalor di Placenta, che subito piglia in nota tutti quelli sono a li stipendi do la illustrissima Signoria, Fiorentini, et duca di Ferrara, et fazia il bando che in tanto termine habbinno ad venire a caxa, et non venendo li tolga li beni el li bandiza. Et il prefato gubernalor, subito liatilo tale avixo, vene ad ritrovar il prefato signor mio padre, facendoli intendere che io ritornassi a casa, altramente non potea mancare a non satisfare il voler di Sua Santità. Il signor mio padre gli rispose, che dal canto suo non è per mancare aziò ritorna, ma che lui non può sforzare per non ha vermi in sue forze, et che è 10 anni che non sono in caxi sua, con altre parole in proposito. Poi il gubernalor gli disse che la mente di Nostro Signor era di confinarlo, ma che lui voleva fare bono officio appresso Sua Santità per farli rimanere in la patria. Sichè le ruine grande ne vengono a le spalle in la roba et la vita, niente di manco fatia il mondo et manda ogni ruma, che io sono per morire sotto il servitio de la illustrissima nostra Signoria, se io fusse certo non perdere la roba, ma la vita propria etc. ■ Lettera del ditto, di 23, data ivi, ricevuta a dì 27. In questa ora m’è sopragionto aviso in conformità che hanno beri bandito il conle Troilo mio fratello, in la testa, qual è a servizi de li signori Fiorentini, se in termine di 15 giorni non ritorna a caxa, et che hoggi doveano fare il simile di me. Lettera del ditto, di 26, data ivi, ricevuta a dì 28. A hora ho ricevuto lettere da Piasenza, insieme con comandamenti che, pena la lesta, infra termine di 10 giorni habbi da ritornar a la patria et, non ritornando, sia corso il signor mio padre in quella medema pena di la testa et vada li beni a la Camera. Io subito ho mostrato tulio a li clarissimi provedilori, et li ho dito, mal son per abandonarli, ma vivere el morire sollo l’ombra di questo excel-lentissimo Sialo, come già li nostri hanno fatto. • Lettera del ditto, di 27, ricevuta a dì 29 de avosto. Heri, per questo illustrissimo duca di Urbino, fu deliberalo et concluso di che maniera si havea a difendere il stalo de la illustrissima Signoria, venendo lanzinech di sopra et Cesaro di qua ; et fu stabilito, per sua excellentia, di sorte che ogni cosa sarà lnnoramenle defeso et statuito tulli a li loci soi. Io vado a Brexa. Lettera del ditto, di 29, ricevuta a dì 31. Non sono ancora andato a Brexa. Tutta la cava-lana partilo beri, et tulio el reslo de condulieri ad andar in bergamasca el creinasca, et la compagnia del signor duca et la mia sndarano in brcxana. Son restato apresso sua excellentia, qual heri ándete a Lodi dal signor duca di Milano, et io insieme. Vi dico questo : Beala quesla povera Italia per questo unico capilanio ! è cosa incredibile a tutto homo, fa provisione et discorsi per la conservalion di lo sialo di la illustrissima Signoria cum quello de Milano, el fa conoscere ad ogniuno che non se ne ha da dubitare, purché li patroni da sé non vogliali ruinare, ma inimici mai ruinerano. Li nostri Signori lassano il carico a sua excellentia ; dubito ben che ’1 procederà da questo povero infeminà core del duca de Milano, che non basta che questo nostro signor duca lutti li giorni cum lettere et poi con sua presentía li fazia locare con mano et con evidente ra-sone che nullo dubio gli sia a le cose sue, purché lui medemo voglia, et non li è remedio che se voglia fare capaze ad intenderlo, nè manco ad provedere ad nulla cosa. Et per quesla sua viltà de animo dubito che, quando il signor duca non li interponesse la sua prudentia, non solimi lui ruinaría, ma ancora faria ruinare altri, sichè vedo il signor duca in totale disperatone, vedendo che al sicuro questo voglia ruinare. (1) La carta 281* è bianca.