Vili Codice diplomatico barlettano scopo di tacitare quel principe (suo parente) nelle pretese alla corona di Napoli. Nel 1333 avvennero gli sponsali e più tardi il matrimonio. Ma ahi matrimonio infelice ! Dal primo giorno, o per naturale avversione o per differenza di tratto e di educazione, il vivere degli sposi divenne incompatibile. Gli Ungari stessi guardavano male che mentre Giovanna aveva avuto l’investitura del regno dal Legato Pontificio, Andrea — per precedente disposizione di Roberto — non avrebbe potuto incoronarsi se non al ventiduesimo anno di età. Di qua il malcontento serpeggiava e gli Ungari stessi brigavano per risolvere questa posizione insostenibile di Andrea, mentre i Napoletani segretamente congiuravano per disfarsi in un modo qualunque del re designato. Una notte, mentre Andrea con la Regina dimorava in Aversa, alcuni fidi della Corte, penetrati nella stanza del re, lo svegliano di soprassalto con la scusa che il monaco Roberto, suo consigliere, gli debba comunicare — di urgenza — cose attinenti il Regno: gli gettano un laccio scorrevole al collo e poscia buttano il suo cadavere nei sottostanti giardini. Chi vide quelle scene inorridì!... La regina sospettata del misfatto dovette riparare, in Avignone, per trovare protezione presso il Pontefice. Frattanto Ludovico di Ungheria, fratello di Andrea, reso consapevole del delitto, montò in armi e, radunato un numeroso esercito, scese in Italia per vendicare la morte del fratello. I colpevoli per ordine del gran Giustiziere del regno furono giustiziati con la pena di morte, ma Ludovico non soddisfatto a pieno, si stabilì in Lucera e d’accordo col giudice Nicola dAngelo, in Barletta, fu ospitato nella chiesa di S. Giacomo (vedi cronaca di Domenico Gravina), donde, preso prigioniero dai Della Marra, fu costretto a ritirarsi in Lucera. In una seconda discesa, il re entrò in città con 15 mila Ungari e così si dileguò ogni tentativo di insurrezione. Nello stesso tempo 8000 teutoni e 4000 predoni lombardi, alla dipendenza di Palatino, commisero devastazioni di ogni genere attorno alla città e fu per questo che tutti i danneggiati si recavano dal re, che dimorava nel castello, per chiedere protezione e per il risarcimento dei danni. Avvenne che in una taverna due soldati briganti, giocando a dadi con due barlettani di vita scioperata, venissero a lite. Uno di questi venne percosso con un pugno sul viso da uno dei due lombardi. Il barlettano percosso ferì con una coltellata l’avversario. Di qui la sollevazione. Molti soldati briganti alla vista del sangue sguainarono le spade; i barlettani estrassero i coltelli, fecero volare le pietre e in un attimo la città fu in rivolta. Si Suonano le campane a martello; i lombardi s’impossessano dei fortilizi e delle porte di S. Leonardo e di S. Sepolcro e mettono in istato d’assedio la città. I teutonici vigilano le strade a cavallo, mentre i briganti nella strada della Selleria penetrano nelle case e rubano. Il re che è nel castello, freme a sentire queste scorribande, ma poi dà ordine al Vaivoda di riprendere i fortilizi e di espellere dalla città i briganti e i teutonici; ai suoi soldati dà ordine di mettere gli accampamenti al ponte di Canne. Questo squilibrio di cose, unito con le altre invasioni e con le guerre, fu persistente nella città e nella Puglia tutta, sino al punto da creare seria preoccupazione per le proprietà e per le persone. Di qui si vede che diversi conventi e chiese vengono abbandonati fuori le mura, tra cui: S. Lucia, S. Chiara, S. Francesco, lo Sterpeto, l’Annunziata, S. Giovanni, S. Simone e Giuda. Il Vescovo di Canne fitta diverse terre a diversi estranei per evitare il pericolo a cui si va