i’RRI'AZlOME stia degli Angioini, era rimasto al Comune e alle città italiane il diritto di espandersi e di avocare a sè i poteri pubblici, specialmente al tempo delle crociate con l'assoggettamento dei centri minori e con il possesso delle vacanti terre demaniali. Questo permanente stato di cose provocò la guerra tra città e città, tra famiglia e famiglia, mentre andavano a male le autonomie comunali. Le città si reggevano secondo le consuetudini; la nobiltà — perduto ogni carattere feu-dalistico — minava continuamente contro i poteri costituiti della monarchia. Il re Roberto, se avesse voluto, avrebbe potuto salvare la società, ma non ne ebbe la forza. Come nelle altre città qui erano rappresentate le principali arti: vi erano le arti maggiori distinte dalle minori e fra le arti più comuni — come dice il Cag-gese — a Barletta esistevano i mercanti di panni; a Trani i bastasi; a Napoli i cimatori. Anzi tenuto presente che gli artigiani occupavano dei rioni speciali, proprio a Barletta dobbiamo osservare che in Ruga Sellerie abitavano i sellai (corso Garibaldi), in Ruga Cordonerie i calzolai (corso Vittorio Emanuele); in Ruga Cambii i cambiavalute. In detta strada poi ci erano il Baliutn e la stazione dei Ravellesi. In Ruga Francorum c’erano i francesi, in Ruga Rumenie i Rumeni, in Ruga Saracenorum (Mariano Santo) si allocarono 2024 Saraceni, cacciati da Lucera, dopo la sconfitta loro inflitta da Pipino nell’agosto del 1300. I giudei avevano la loro Giudecca. La città rimase sempre di diritto demaniale, libera cioè dal feudatario, ma dipendente dal Capitano, dal Sindaco, dal Castellano, dal Protontino. Il Capitano di nomina regia, risiedeva nel Palazzo Regio, dove radunava la Università e nelle gite per la città veniva accompagnato da quattro scudieri a cavallo e da dodici armigeri a piedi. Rimaneva in carica un anno; esercitava un potere misto in cause cioè civili e criminali e dipendeva solo dal Giustiziere della provincia. C’è poi da dare uno sguardo alle famiglie barlettane. La guerra, le imposte, la proprietà manomessa per il facile scambio dei piccoli feudatari e le altre an-garie: tutto contribuiva a creare nelle città la stato di guerra civile. A Barletta a mano armata combattevano i De Gattis contro i Galiberto, i Bonello e i De Luco. A Trani erano in contrasto i Pescarolo con i Della Marra. E poscia, unitisi in fazione i De Gattis con i Pescarolo, i Della Marra con il Galiberto, ci volle l’intervento dei Principi per sedare le liti. I Santacroce e specialmente i Princivallo profittando che il Vescovo di Monopoli era un barlettano (l’arciprete Pascalis di S. Maria Maggiore), ripetettero su di lui un credito, per cui — come pegno — si fecero intestare i casali di Cisternino e di Gemma, dipendenti da quella Mensa Vescovile, e, armata mano, si recarono in Monopoli e commisero gravi misfatti contro gli Oriello di fazione avversa. Il Vescovo Pasquale, non solo non reagì contro i soprusi che si commisero, anzi consigliò il Princivallo ad impadronirsi del Casale di S. Giovanni di Fasano, già proprietà di un Guglielmo Della Marra. Intanto i Della Marra si erano stabiliti, in Barletta, con tutti i privilegi e concessioni regie ed erano divenuti la famiglia più potente che spesse volte mise in serio pericolo la vita della città.