— 227 — nonostante le macchie ultimamente lavate da P. Fedele 1), era caduto in questo tempo il Papato, alla mancanza nel clero di ogni senso di ordine e di disciplina, alla sua profonda decadenza morale, per ritenere pressoché impossibile che nell’anno di grazia novecentoventicinque si potesse pensare a formulare in un sinodo delle costituzioni tendenti a disciplinare giurisdizioni ecclesiastiche, preminenze di metropoliti, consacrazioni di vescovi (I, II, III, Vili, IX), a emancipare beni ecclesiastici dal potere laico (IV, V), a condannare violenze contro signori laici, fondatori di chiese, vescovi e preti (VI, VII, XIII), a condannare chiese e liturgie nazionali (X, XI), a infrenare gli arbitri dei preti (XIII), a disciplinare la vita morale del clero (XIV1, XV) e a promuoverne la educazione letteraria (XIV2). Lo spirito che informa queste costituzioni è ben lontano da quello che aleggiava nella Roma di Sergio III, dei Giovanni, dei Leoni, di Teodora e di Marozia. Esso ci fa pensare piuttosto alla Roma della seconda metà del secolo XI e ci porta a respirare l’atmosfera nella quale maturò il Dictatus di Gregorio VII2). Queste nostre osservazioni non hanno la pretesa di essere decisive, ma semplicemente di mostrare come la questione dell’autenticità degli atti del sinodo spalatino del 925, sia sempre, anzi più che mai, un problema aperto. La difesa del Sisic, come abbiam visto, non ha forza alcuna. Bisognerà sul serio e con preparazione ben più salda di quella del Sisic, accingersi al loro studio, analizzandone minuziosamente il contenuto, vedendo se e quanto la struttura delle epistole papali che ne fanno parte, eventualmente il loro cursus, siano conformi alla prassi diplomatica e stilistica della cancelleria pontificia di quei tempi ; bisognerà soprattutto prendere in esame le manchevolezze e le contradizioni rilevate dal Jirecek (op. cit., I, 201, nota 1), che il Sisié non è affatto riuscito a sanare (pag. 424, nota 37). Il regno di Cressimiro e Zvonimiro (Povijest, pagg. 499-590). Nella seconda metà del sec. XI la Dalmazia attraversa uno dei momenti più decisivi della sua storia. Non vi agiscono più forze soltanto municipali o regionali, ma vi si abbatte e vi trova il suo terreno d’azione tutto quel formidabile complesso di forze che turbina nell’Europa intera. Come nell’800, così al tempo delle lotte per l’investitura, la storia dalmata diventa storia europea: in Dalmazia s’incontrano e lottano Roma e Bisanzio, Papato e Impero, Venezia e i Normanni. Accanto al cozzo di questi agenti esterni, con parallelismi e interferenze, si snoda il vecchio conflitto tra latinità indigena e slavismo, tra i comuni della costa e i regni slavi del retroterra. Cadono uomini, città e regni; il passato equilibrio è scosso per sempre; lo sconvolgimento che ne deriva, per quanto non muti fisonomía alla regione, ne avvia la vita e la storia a forme profondamente rinnovate. » ') FEDELE P., Per la storia di Roma e del Papato nel secolo X, in Archivio della Società Romana di Storia Patria, XXXIII, I 77. Vedasi poi DRESDNER A., Kultur und Sittengeschichte der italienischen Geistlichkeit im X. und XI. Jahrhundert, Bre-slavia, 1890. 2) Apprendiamo dalla Povijest (p. 417, n. 23, fine) che a queste stesse nostre conclusioni, ma limitatamente ai passi che concernono 1’ uso del glagolito nella liturgia, è giunto lo sloveno SREBRNIC in un lavoro che finora non ci è stato possibile procurarci : Papez Ivan X v svojih odnosih do Bizanca in Slovanov na Balkanu (Il papa Giovanni X e i suoi rapporti con Bisanzio e gli Slavi dei Balcani), in Bogosloyni Vjesnik, Lubiana, II, 1922, pagg.