— 6 - era sostituita l’altra, che provenissero tutte dallo slavo. Nè ciò era affermato soltanto dal volgo semi-letterato, ma anche da scienziati di qualche levatura, appoggiati da accademie e salariati col pubblico denaro. Di questi ultimi il Dankowsky, nel 1836, pubblicava il libro «Matris Slavicae filia erudita, vulgo lingua Graeca», e il Rollar, nel 1853, «Staroitalia Slavianska»; in cui pretesero dimostrare che il latino e il greco erano lingue figliuole dello slavo. Anche da noi ci furono alcuni, che accolsero questa dottrina; ma quelli che l’accolsero con qualche riserva e l’usarono con qualche prudenza, vanno distinti da certi linguaiuoli, che ci lasciarono degli accostamenti etimologici deliziosissimi. P. e. Antonio Casnacich, da Ragusa, biasimato nella «Moda» di Milano (anno 1839, n.ro 71) di avere voltato alla meno peggio « 11 cinque maggio » in islavo, cioè in lingua barbara, la difendeva, è vero, («Gazzetta di Zara» anno 1839, n.ro 86) coll’errore allora comune che lo slavo fosse la madrelingua che aveva dato le sue radicali alla lingua di Omero e di Virgilio; ma riconosceva che i Ragusei avevano parlato la lingua d’Epidauro (cioè il greco), e gli Spalatini quella di Salona (cioè il latino), contro l’opinione allora pure comune che gli llliri fossero stati slavi, e non discese mai a comporre di suo bisticci etimologici. Allato poi al Dankowsky e al Rollar, si possono mettere dei nostri F. M. Appendini e G. Capor: questi aveva sostenuto che l’illiro e lo slavo fossero identici; e quegli era andato a cercarne l’identità non solo nelle parlate della penisola balcanica, ma anche in quelle dell’Asia anteriore1). L’ignoranza degli studi, che allora cominciavano, sulle lingue arie; la strana supposizione che lo slavo, lingua madre, fosse rimasto allo stato barbarico in confronto delle lingue figlie, non fecero loro comprendere che la relazione di madre e figlie era invece relazione di sorelle, e che la madre bisognava trovarla, non già nell’Asia anteriore, come aveva fatto l’Appendini, bensì nell’Asia centrale. Ma i linguaiuoli!...... Dopo il Rreglianovic e il Cattalinich, che nelle loro « Storie della Dalmazia » avevano dato la stura ad etimi da far ispiritare i cani, la linguistica nostra precipitò così basso, da dare ragione non solo al Voltaire, che l’aveva battezzata per quella scienza, in cui le vocali si mutano a piacere e le consonanti non contano, ma anche a quel bello spirito, che ') G. Capor -Dimostrazione dell’antichità e continuazione della lingua illirica, poscia della slavonica in Dalmazia », Spalato, 1844. — F. M. Appendini, « De praestantia et vetustate linguae lllyricae etc., Ragusa, 1806. — Id. - Dell’analogia degli antichi popoli dell’ Asia minore con la lingua dei popoli antichi e recenti della Tracia e dell’Illirico », Ragusa, 18!0.