— 30 — autori nostri. E se nel « Proemio », ad ottenere la benevolenza dei lettori, confessa che forse a lui non sarebbe appartenuto fare il grammatico, perchè huomo di professione molto diversa, e di loquela alla tosca poco somigliante, non si deve mica intendere uomo di lingua schiavona. La lingua schiava non avrebbe potuto dirla poco somigliante alla tosca, quando da essa era del tutto differente : ma si deve intendere del dialetto veneto, parlato dal Fortunio nella sua età giovanile, prima che gli studi letterari e il commercio cogli uomini di lettere non gli avessero fatto imparare il toscano. Come scrivesse allora, non lo sappiamo; ma da quanto scrisse di poi, possiamo dire che la sua prosa è corretta, chiara e semplice. Riproduco ad esempio il principio del « Proemio » : «Soleva io nella mia verde etade, sincerissimi lettori miei, quanto d’otioso tempo dall’esercitio mio delle civili leggi mi veniva concesso, tanto nella lettura delle volgari cose di Dante, del Petrarca e del Boccaccio dilettevolmente ¡spendere. Et scernendo tra scritti loro li lumi dell’arte poetica et oratoria, non meno spessi, eh’a noi nella notte si mostrino le stelle, et non con minor luce, che in qualunque più lodato auttore latino, risplendere, non mi potea venir pensata, che senza alcuna regola di grammaticali parole la volgar lingua così armonizzatamente trat-tassono ». Ma bisogna badare alle scorrezioni dei tipografi, che non vanno messe in conto dell’autore. Io non ho veduto la prima edizione delle «Regole», fatta in Ancona sotto gli occhi del Fortunio; se però tutte avessero gli errori dell’aldina del 1545, della quale mi sono servito per questo studio, bisognerebbe proprio dire che il Fortunio ebbe una disdetta e da vivo e da morto. Da vivo, plagiario; dopo morto tragicamente, diffamato in Italia da tipografi, travestito in Schiavonia da croato sotto il nome di Srica!