— 219 — « iussio » il Sisic non parla, forse perchè, presupponendo essa soggezione degli slavi all'impero d’oriente, non crede onorevole accennarvi. Se soggezione vi fosse non si può asserire allo stato delle indagini attuali. Certo è però che relazioni tra bizantini e slavi vi furono sin da allora; se non relazioni di soggezione, una forma di federazione (intesa naturalmente al modo bizantino) vi fu certamente. Oltre che da quanto abbiamo detto, la cosa risulta anche da alcuni avvenimenti ai quali si riferisce un passo di Paolo Diacono, sinora insufficientemente interpretato. Narra il cronista longobardo che : « cum anno et mensibus quinque (Aio) Beneventanum ducatum regeret, venientes Sciavi cum multitudine navium non longe a civitate Seponto castra posuerunt. ...Cum Aio super eos... venisset... irruentibus super eum Sclavis simul cum aliquantis viris extinctus est. Quod cum Radualdo nunciatum fuisset, cito veniens... super eos irruens, magnaque strage eos prosternens... de illis finibus eos, qui remanserant, hostes fugam petere coegit» (IV, 46). Gli avvenimenti qui narrati appartengono all’anno 641 o 642. Che gli slavi, a distanza di uno o due decenni dalla loro venuta in Dalmazia, avessero appreso tanto bene l’arte di navigare da poter compiere con propri mezzi delle scorrerie sulle coste occidentali dell’Adriatico non è nemmeno lontanamente ammissibile1). Si tratta piuttosto — come già fu intuito dal Jirecek (Geschichte der Serbai, Gotha, 1911, I, 1G5) — di truppe slave trasportate su navi bizantine (forse anche dalmate!) a combattere per conto dei bizantini nel ducato di Benevento. La cosa diventa certa quando si rifletta che l’anno prima era morto Arichi, il belligero duca che tanti territori aveva strappato nell’Italia meridionale ai bizantini, e che il governo del ducato era allora nelle mani dello scemo e debole Aione. Ma v’è di più. Un passo della «Historia» dell’Arcidiacono, sfuggito sinora all’attenzione degli storici, è forse anch’esso in relazione con questi avvenimenti. Eccolo, sfrondato del superfluo: «Per idem ferre tempus2) quidam advene, ut ferunt, romana urbe depulsi, non longe ab Epitauro ratibus applicuerunt... Prenotati ergo advene sedem sibi in illis partibus collocantes, civitatem Epitaurum sepius impugnantes nimium atriverunt, atritamque ceperunt, et captam in solitu-dinem redegerunt. Homines autem cum eis permixti sunt, et facti sunt populus unus. Edificaverunt Ragusium et habitaverunt in eo»15). Questi «advene» che vengono dall’Italia, impugnano e distruggono la città bizantina di Epidauro (Ragusa), non possono essere che longobardi. Anche oggi sull’ isola di Curzola, di fronte alla terraferma ragusea, c’è un villaggio che ha nome Lombarda. Ecco dunque che la visione si allarga. Intorno al 640 non solo Spalato è in piedi, ma in piedi, sebbene impugnata, è anche Ragusa. Le relazioni degli slavi con Bisanzio, e quindi con le città dalmate, sono più che pacifiche, amichevoli. La distruzione portata un paio di decenni prima è in parte riparata. Oltre alle x) Giova anche qui richiamarci alla cronaca dell’ Arcidiacono che, riferendosi agli anni 630-640, asserisce che « nullus Sclavorum erat ausus ad mare descendere » per la buona guardia che vi facevano « armatis liburnis » gli « electi iuvenes » romani (ed. RACKI, pag. 29). 8) Gli avvenimenti che l’Arcidiacono narra nel capoverso precedente sono dell'anno 641-642; quelli del seguente del 640 o poco prima. 3) Una lontanissima eco di questi fatti par di sentire anche nelle fantastiche e posteriori cronache ragusee dei secoli XIV e sgg. (Monumenta spectantia historiam Slavorum meri-dionalium, Zagabria, Accademia jugoslava, XIV, 1883, pag. 3, 173-4). Ma la contaminazione ne è tanto orrenda che sarebbe fatica immane, e cosa assai pericolosa, il voler mettersi a rintracciare in esse eventuali elementi di verità. Del pari leggendarie, e in ogni modo indipendenti dalla narrazione dell’Arcidiacono, sono le notizie del «Chronicon Salernitanum », c. 88.