— 37 - espressione nelle opere che sopra abbiamo ricordate*). Ma dopo queste opere, forse perchè credute definitive, l’importantissimo argomento fu trascurato. Anche la morte di Tuone Udaina (10 giugno 1898), l’ultimo dei parlanti il dalmatico, togliendo ogni possibilità di attingere a fonti vive, contribuì forse a disanimare gli studiosi dal ricercare e ratinare le fronde sparte dell’ormai morto idioma. Fece e fa eccezione il prof. Petar Skok dell’Università di Zagabria, che, nel quasi generale abbandono, anzi in un ambiente a tal segno accecato dall’ odio nazionale da essere giunto persino a negare l’esistenza di questo idioma -), ne va con tenacia ed amore ammirevoli da lunghi anni ricercando e studiando le reliquie ovunque gli sia possibile: nelle antiche iscrizioni, nella onomastica, nella toponomastica, nei dialetti slavi della Dalmazia ecc.8). Opera tanto più meritoria in quanto che gli studi fatti finora sono ancora ben lontani dal rappresentare quella perfezione e quella compiutezza che in passato furono loro attribuite. Fondati su materiali necessariamente ristretti, anche le loro conclusioni non potevano essere che parziali. Per accennare soltanto ai principali, e senza voler nulla detrarre ai grandissimi meriti degli autori, non possiamo non dire che il lavoro del Jirecek è tutto quanto basato sull’esame della onomastica medioevale dalmata, e quello del Bartoli, nel quale per quanto si sia messo a profitto tutto ciò che allora era accessibile, è prevalentemente costruito su materiali veglioti raccolti lo scorso secolo. La scarsezza del materiale elaborato avrebbe dovuto consigliare cautela nelle conclusioni di carattere generale. Invece, pur attingendo a fonti uniformi e limitate nello spazio e nel tempo, s’è voluto — e non tanto dagli autori, quanto da avventati e interessati recensori e commentatori4) — spingersi tanto lontano nelle conclusioni da esprimere giudizi generali sulla vita e sulla morte, sulla durata e sulle aree del dalmatico, sulla venetizzazione di alcuni centri e sulla slavizzazione di altri; s’è voluto anzi, uscendo dal campo strettamente filologico, fare delle considerazioni su problemi politici ed etnografici. *) La storia degli studi intorno al dalmatico, per chi non voglia ricorrere alla succitata ampia opera del Bartoli, è, dallo stesso Bartoli, lucidamente riassunta nell’articolo Due parole sul neolatino indigeno di Dalmazia, in Rivista Dalmatica, Zara, luglio 1900, pag. 201 sgg. 2) Alludiamo all’opera di I. STROHAL, Pravna povijest dalmatinskih gradova, Zagabria, Accademia Jugoslava, 1913. 3) Di questi suoi studi, pubblicati quasi tutti in lingue slave, rende conto lo stesso autore in una pregevole rassegna, Les travaux serbo-croates et slovènes de linguistique romane (1913-1925) in Revue de linguistique romane, Parigi, Il (1926), pag. 263 sgg. 4) Ne nominiamo uno per tutti: V. LOZOVINA, Dalmatski, negdasnje romansko narjecje dalmatinskih gradova, in Program c. k velike Gimnazije u Spljetu,fase. XLIV, Spalato, 1909, pag. 17-24.