- 232 — pollìceor, me incommutabiliter completurum omnia, que mihi tua reverenda iniungit sanctitas. — Ducentorum quoque bizantiorum tributum... sancto Petro per singulos annos in Resurrectione Domini de mihi concesso regno persolvendos statuo. — Dono insuper... apostolice sedi sancti Gregorii monasterium cui Vrana est voca-bulum... ut sancti Petri Iegatis sit semper ad hospitium. — Preterea... me tuis manibus committo et committendo hanc fidelitatem sacramento stabilio: Ego, inquam, Demetrius qui et Svinimir, dei gratia et apostolice sedis dono rex, ab hac hora in antea sancto Petro et domno meo pape Gregorio suisque successo-ribus canonice intrantibus ero fidelis. Regnum autem quod mihi per manum tuam, domne Gebizo traditur fideliter retinebo et illud suumque ius apostolice sedi aliquo ingenio aliquando non subtraham ». (FABRE e DucHesne, Le Liber Censuum de l'Église Romaine, Parigi, 1910, v. I, pag. 356-7). Come si vede è un giuramento di vassallaggio in piena regola, quale solo si poteva pretendere da un debolissimo uomo che tutto aveva ottenuto dal pontefice. Mai, crediamo, nè Gregorio VII nè gli altri pontefici di questo tempo, credettero di poter imporre formule cosi nette nè condizioni tanto dure, non a regnanti, ma nemmeno a conti e baroni che chiedevano il patrocinio di san Pietro per regioni da conquistare in terre di infedeli. Notisi la gravezza degli actionarii stabiliti nel monastero di san Gregorio di Vrana, dove probabilmente assieme ai legati papali furono sin da allora stabilite anche delle truppe del pontefice. Non è infatti senza significato la circostanza che una cinquantina d’anni più tardi troveremo in questo monastero insediati da chissà quando i templari. Gregorio VII forzò forse un po’ troppo la mano. Zvonimiro, bene o male, rimase al potere sino al 1089. Ma quando in quest’anno Urbano II, per chissà quale impresa politica o militare, gli chiese delle truppe, il popolo, convocato per deliberare, si rivoltò e, accusato il re di aver asservito lo stato, lo trucidò in piena assemblea. Era sempre il partito di Stefano che ad ogni propizia occasione rialzava il capo e si impadroniva violentemente del potere. Dopo il regicidio infatti, Stefano fu tratto fuori dal monastero dov’era stato rinchiuso e rimesso a capo dello stato. Ma, non riconosciuto da nessuno, dopo poco morì. Per la storia e per la tradizione Zvonimiro rimase sempre l’ultimo re croato. Questa nostra rappresentazione degli avvenimenti svoltisi sotto i re Cressimiro e Zvonimiro è diversissima da quella che si legge nella Povijest e in tutte le altre storie croate. Non è qui il luogo di documentarla nè di esporre il modo come vi siamo arrivati. Tuttavia, e per eliminare in parte il naturale stupore che si ingenererà nei lettori pratici di storia croata, e per meglio chiarire alcuni nostri punti di vista, aggiungeremo, a mo’ di commento, alcune osservazioni. Ce ne offriranno il destro alcune errate illazioni e tendenziose insinuazioni del Sisic. Scrive il Sisic a pag. 507 che « i latini di Dalmazia intenzionalmente e sfacciatamente accusavano di eresia il clero glagolitico»; e a pag. 513, n. 37, «A Roma, certamente in seguito a tendenziose informazioni dei latini di Dalmazia, era diffusa l’opinione che la liturgia slava fossa di origine ariana, eretica»; e a pag. 514 < il movimento glagolitico non era diretto contro la Santa Sede, nella quale anzi i croati speravano di trovar una aiutatrice delle loro aspirazioni, ma contro i latini di Dalmazia» ecc. Ecco una grande questione storica e religiosa