- 228 — Gli avvenimenti dalmati e croati di questo tempo hanno trovato nel Sisic un narratore molto diligente, acuto alle volte, ma non sempre capace di rendersi conto dell’immensa portata di alcuni fatti. L’apporto che egli ha dato alla storia croata col suo lavoro d’analisi e con la compiuta ricostruzione di alcuni fatti è veramente grande, e supera di molto quello recato da ogni altro storico croato. Ma, da un lato la non grande conoscenza della storia generale e specialmente una strana incapacità a ritrovare fuori di Dalmazia le cause e le spinte dei grandi movimenti politici che in questo tempo si svolsero in Dalmazia, dall’altro la preoccupazione di non stabilire addentellati e di non andare a fondo in fatti che potessero significare una diminuzione di grandezza per il regno croato — e urtare quindi le morbose suscettibilità nazionali dei croati d’adesso — lo hanno portato a lumeggiare assai insufficientemente alcune situazioni, a prospettare delle altre in luce del tutto falsa, a trascurare completamente quella che è la storia viva della nazione croata, del suo travaglio e delle sue aspirazioni, per concentrarsi in affannose ricerche congetturali sulla genealogia dei re, sulle loro corone, sui loro scettri, sui loro seguiti, sulle loro pompe. Questo modo, diremo così, bizantino di concepire la forza e la grandezza di una nazione, gli ha fatto perdere di vista la grandezza vera, quella cioè che risulta dagli atteggiamenti e dagli atti delle masse nazionali e dei loro capi. Noi, riserbandoci di trattare ampiamente l’argomento in un lavoro che considererà Roma e Bisanzio in Adriatico nel secolo XI, tenteremo di presentare qui in un paio di pagine un quadro sintetico della storia dalmata e croata di questo tempo. Dall’invio in Dalmazia del legato papale Giovanni da Ravenna (642 circa) sino alla metà del secolo XI circa non c’ è in Dalmazia nessuna traccia sicura ') di contatti tra il Papato e le gerarchie ecclesiastiche di Dalmazia. Appena verso il 1050, quando Leone IX volse i suoi sforzi a ristabilire la disciplina in terre che soggiacevano all’ influenza bizantina, certamente dopo i sinodi di Siponto e Salerno, un legato papale, anch’esso di nome Giovanni, viene a Spalato e depone l’arcivescovo Dabrale, vero tipo di prelato concubinario, simoniaco e incurante di cose ecclesiastiche. Non privo di significato il fatto che Dabrale si difese asserendo che, secondo l’uso greco, era a lui lecito aver moglie. Questo primo timido assaggio, compiuto quando lo scisma di Michele Cerulario non s’era ancora determinato nella sua pienezza, è seguito, qualche anno dopo, da un’energica offensiva in grande stile. Nella primavera del 1060 giunge in Dalmazia, inviatovi da Niccolò II, il legato Mainardo abate di Pomposa. La azione che egli svolge è vasta ed audacissima. È evidente che con essa Roma mira non solo a ristabilire la gerarchia e la disciplina ecclesiastica nella Dalmazia bizantina, ma a preparare anche il terreno per una azione politica oltre che religiosa nel regno di Croazia. Mainardo convoca un concilio, proclama i canoni del sinodo pasquale lateranese del 1059 e pensa subito a rinnovare gli uomini che dovranno applicarli. L’inetto arcivescovo spalatino Giovanni, certamente troppo vecchio e debole per essere efficace esecutore dei grandi piani di Roma («cum pre senectute factus esset inu-tilis », Tommaso Arcidiacono, ed. cit., pag. 46) è costretto a cedere il suo posto a Lorenzo vescovo di Ossero «statura quidem pusillus, sed sapientia magnus», Per le ragioni già dette non teniamo conto degli atti del sinodo spalatino del 925, nè prendiamo in considerazione le lettere di Giovanni Vili ai vescovi di Dalmazia,