— 26 quella luce, vide cangiar, cioè arder Thessaglia, intendendo della luce del Sole. Il perchè il Philelpho lo chiama sciocco, interpretando egli poi più scioccamente lei, cioè la Luna, sognandosi non so che d’uno sdegno di Madonna Laura, torbidando ogni hor più il chiarissimo et elegante sonetto del poeta, il qual apertamente dice: se poco più allui si appressava la luce de gli occhi di Laura, si sarebbe trasformato in lauro, così come Tessaglia vide cangiar lei, cioè il lauro alludendo alla trasformatane di Daphne». Id. Ibid. 63 : Quando giunge per gli occhi al cor profondo L’immagin donna, ogni altra indi si parte. Il Fortunio (c. 42 r.) qui spiega: « Donna have n geminato; e come che per dinotatione di sesso solo tallhora si ponga, è noine sincopato da questa voce latina domina, et è nome di onore, come donno, il quale è sincopato da domino. Et ciò chiaramente dimostra il Petrarca in luoghi infiniti, e massimamente nel sonetto che incomincia: „Quando giunge per gli occhi al cor profondo L’immagin donna“, cioè signora, come volgarissimamente si dice, e non è caso vocativo, nè sono parole dette per madonna Laura, come sognando interpretano li commentatori». Id. ibid. 133: In questo sonetto il poeta attribuisce a Laura le bellezze tutte e le rare doti della Fenice, chiudendolo così nell’ ultimo terzetto : Fama nell’ odorato e ricco grembo D’arabi monti lei ripone e cela Che per lo nostro ciel sì altera vola. Il Fortunio (c. 7 r. e 8) qui osserva: «Il Philelpho sognandosi all’usato in queste interpretationi, pensa lei esser caso retto, dicendo, che ’1 Poeta dir voglia, lei esser volata al cielo, riservata la sua pudi-citia nel suo grembo, non essendo il vero senso che, come persona agente, Laura celi, ma che la fama celi lei, cioè nasconda questa fenice nel grembo degli arabi monti. Et sarà il sentimento tale che, come che per fama cioè per voce d’ognuno si dica la fenice essere in Arabia, nel vero nondimeno è volata alle parti nostre, comparando alla fenice madonna Laura». Id. Ibid. 158: Il Fortunio (c. 42) rispetto a questo sonetto dice: « Diremo che errore manifesto sia di stampa nel sonetto eh’ incomincia : Beato insogno e di languir contento. Nè sarebbe iscusatione dell’errore dire che fossero due parti in sogno, et che ’1 Petrarca non chiamava beato l'insogno, ma sè nel sogno, perchè niuna delle seguenti parole di tutto il Sonetto si può accomodar a sognante. Onde la vera lettura è, per mio giudicio, e così credo lasciasse di sua mano il Petrarca scritto,