— 235 — i vassalli ricevevano in feudo le loro terre dal papa, il quale si considerava vero e unico legale loro possessore. Zvonimiro si obbligò soltanto in senso spirituale, ecclesiastico, che sarebbe stato unicamente fedele e obbediente figliolo di san Pietro, senza mettere affatto lo stato croato in relazioni di dipendenza giuridica dal pontefice». Chiunque conosca il giuramento di Zvonimiro ed abbia anche una imperfetta conoscenza delle idee di Gregorio VII sui poteri spirituale e temporale, non può non vedere quanto qui il Sisic sia in errore. Nè noi di ciò vogliamo fargli colpa. Egli, storiografo ufficiale della Croazia, in un’ opera intesa a celebrare le glorie del regno croato in occasione del millesimo anniversario della sua fondazione, non poteva nè doveva dire tutta la verità anche se intravvista. Noi però, che di questi obblighi non abbiamo, asseriremo senza tema di smentita, che non v’ è in tutta la storia del tempo di Gregorio VII giuramento di vassallaggio così netto e così preciso come questo di Zvonimiro. In nessun luogo Gregorio VII nè gli altri pontefici di questo tempo riuscirono a far trionfare le loro vedute come in Croazia, nè mai ottennero vittoria così piena come contro Zvonimiro. Oziosa e vuota di ogni contenuto giuridico è la distinzione fatta dal Sisic tra dipendenza feudale laica ed obbedienza ecclesiastica. Gregorio VII potè giuridicamente disporre della Croazia nè più nè meno come potè disporre dei territori infeudati ai principi normanni. Anzi in modo ancora più ampio. Se il figlio di Svenone fosse sceso in Croazia e l’avesse conquistata con le armi, il pontefice, come agli altri « milites s. Petri » che in questo tempo stavano strappando i territori spagnuoli agli infedeli, gli avrebbe concesso il dominio utile del regno, ritenendo per sè il dominio eminente. E tuttavia vi sarebbe stato vassallaggio. Zvonimiro invece ebbe il regno senza avervi diritto nè per successione nè per averlo conquistato con le armi. Di qui la sua netta e ancor più precisa posizione di vassallo. Il censo, anzi il tributo, che egli si obbliga di pagare esprime in modo inequivocabile il vincolo della dipendenza feudale. Il quale tributo non è come il Sisié crede (p. 560) un’onoranza (pocasni dar) e nemmeno la «eleemosyna regis» pagata dagl’inglesi nel sec. X e poi trasformatasi in «census», o il «denarius s. Petri» dei re danesi, che, senza contarlo, si deponeva sull’altare di s. Pietro, ma un «tributum» (questa, non «census» è l’espressione usata nel testo del giuramento) vero e proprio, ben determinato nell’ ammontare e nella scadenza e imposto per la prima volta nel 1076 all’atto dell’investitura. V’è poi un altro elemento che ci aiuta ancor meglio a vedere nella posizione giuridica di Zvonimiro: il giuramento di fedeltà. Quando alla fine del 1079 Gregorio VII reclamò da Guglielmo il Conquistatore il solito censo che gli inglesi da immemorabile tempo pagavano per il mantenimento della «Schola Saxonum» e quando, interpretando questo censo come un segno di dipendenza feudale, lo invitò a prestargli giuramento di fedeltà, Guglielmo pagò il censo, ma rifiutò nettamente di prestare il giuramento *). Quando nel 1080, Roberto il Guiscardo si riconciliò col pontefice e questi volle da lui rinnovato il giuramento di fedeltà, Roberto glielo prestò per le terre di Puglia, Calabria e Sicilia di cui a suo tempo nel sinodo di Melfi aveva avuto l’investitura, ma lo rifiutò nettamente per i territori di Fermo, Salerno ed Amalfi che, conquistati per conto suo, intese dominare senza vincoli feudali superiori. Siamo dunque ben lontani dal poter paragonare come il Sisic pretende la posizione di Zvonimiro a quella del Guiscardo (p. 566) o a quella di Guglielmo il Conquistatore (Enchi- *) FABRE P., Etude sur le Liber Censuum de l’Église Romaine, Parigi, 1892, p, 136-7.