— 223 — gono a perfezionarsi e ad affinarsi. Non tanto col fine di costituire una flotta ufficiale dell’impero (cosa pericolosa e forse impossibile), quanto per aver modo di svolgere anche sul mare la loro politica antibizantina. L’effetto fu superiore alle previsioni e, forse, il risultato diverso dalle intenzioni. Dopo quarant’anni gli slavi si presentano in Adriatico come una piccola potenza. E costituiscono un pericolo, non tanto per Bisanzio che, quando vuole, sa e può metterli a posto, ma un danno continuo, una minaccia perenne per tutti gli stati e per tutte le città affacciate sull'Adriatico. Aizzata e lanciata sul mare, educata alla crudeltà e alla ferocia, abbagliata dal miraggio del bottino, questa barbara gente non distingue più tra amici, nemici, protettori e alleati. Corseggia, assalta, uccide e ruba tutto quello che trova. Bersaglio e oggetto di preda diventano non soltanto le vite e le sostanze dei nemici, ma quelle degli amici e degli alleati ; si rubano non solo gli averi dei mercanti, ma sono spogliati anche i legati papali che tornano a Roma nudi e privi persino delle bolle e degli atti ufficiali della loro missione. A fronteggiare questa situazione la più preparata e la più interessata era allora Venezia. Essa si assunse per sè e per tutti gli adriatici il grave compito di ripulire il mare da questa piaga. La sua azione durò secoli e le costò sacrifici incalcolabili, ma le diede il diritto di dirsi e di affermarsi per tutto il tempo della sua vita, arbitra e dominatrice del Golfo. Sono ridicoli i tentativi fatti dal Sisié di presentare le gesta piratesche croate e narentane come una santa crociata condotta contro Venezia ladra di legnami e trafficatrice di schiavi. Sono inutili gli sforzi di giustificare e di lavare questa pagina ignominiosa della storia croata. Per farlo il Sisic, con una diligenza veramente ammirevole, ha spulciato tutta la bibliografia che riguarda l’antica storia veneziana col fine di rintracciare quali fossero le macchie di Venezia al tempo della lotta coi pirati slavi. E, trovatele, le rileva con un’acredine e una acidità degna di predicatore da comizio. Sono le volte che in lui, invece dello storico, sentiamo 1’«esperto» jugoslavo alla Conferenza di Parigi. Ma vediamo i suoi argomenti. Pag. 321 : « I veneziani fornivano agli Arabi legname, armi e schiavi, quantunque la cosa fosse severamente proibita dall’ imperatore bizantino e dal pontefice romano. Non v’ è dubbio che i veneziani non cercassero a tale scopo legname e schiavi anche sulle coste orientali dell’ Adriatico, ma nel far questo incontrarono ben presto un’acre e decisa opposizione». Che il traffico degli schiavi fosse in questo tempo largamente praticato dai mercanti veneziani è cosa risaputissima; ma che gli schiavi slavi li interessassero tanto non è facilmente dimostrabile. I mercanti delle lagune, ricchi ed abili, facevano oggetto dei loro traffici non le cosiddette «merci povere >, ma gli oggetti di pregio, quell’« havere subtile» che, a condizione di esser ben provvisti di capitali, rendeva molto e, relativamente, domandava poca fatica. Questo fu uno dei fattori del capitalismo veneziano, e questo avrebbe dovuto insegnare al Sisic l’opera del Heynen, che da lui è tanto spesso citata. Ora, se mai sul mercato schiavistico vi fu merce più deprezzata, questi erano gli schiavi slavi (ci si perdoni la cacofonia, ch£, nonostante la nostra buona volontà, non riusciamo ad evitare I). Schiavette orientali o tartare, « animule » del Trentino, erano le merci ricercate, apprezzate, di facile e sicuro collocamento. Ancora nel trecento '), di fronte alle 150-180 lire venete che si pagavano per una schiavetta ') Sono dati che abbiamo ricavato dall’ Archivio notarile di Zara e da quello di Spalato, Non li documentiamo perchè forse in un prossimo lavoro ce ne occuperemo di proposito.