— 184 — fino ad un certo punto raggiunta! Pisa e l’arte toscana presiedettero alla costruzione della nostra facciata e della chiesa tutta; ogni altra affermazione è parto di fantasia. Quanto al rimaneggiamento avvenuto, meglio è aver per ora il coraggio di dire che non sappiamo nè quando nè perchè esso sia avvenuto. Buone, invece, sono altre osservazioni che fa il nostro autore: le grandi arcate cieche ai lati del portale maggiore sono prese dal Duomo pisano; le fascie di pietra bianca con disegni a cemento nero sono d'ispirazione toscana al pari dell’impiego di bande di breccia rossa; il matroneo, unico esempio in una chiesa del tempo in Dalmazia, deriva pur esso da Pisa. Le semicolonne con capitello cubico addossate a pilastri è ormai convenuto che si dicano di origine normanna, ancorché oggi si sappia che di un’ architettura normanna non si può parlare. A parte l’ormai vieta questione, sta il fatto che nella chiesa dei ss. Felice e Fortunato presso Vicenza, costruita nel 985, cioè ben prima che i Normanni comparissero in Italia, tale combinazione di colonne e pilastri fu impiegata; e nel 1013, in s. Miniato di Firenze vi è il pilastro quadrato con iscritte quattro semicolonne. Il nostro autore avrebbe piuttosto dovuto osservare, che nel Duomo di Zara si manifesta l’impiego alquanto raro del pilastro che si alterna a un doppio arco sorretto da colonna, che nel romanico maturo ha l’importante funzione di reggere le volte. Ma le volte nel nostro Duomo c’ erano ? II sig. Vasic non ne fa cenno. Probabilmente non c’erano, chè i muri della nave mediana sono troppo esili e privi di contrafforti, per poter resistere alla spinta d’una volta. È sui portali della facciata che il nostro autore va troppo oltre nell’assegnazione di date. Escluso il portale destro, il quale, benché privo di decorazione, è una replica del sinistro, restano quest’ ultimo e quello di mezzo. Sulla cornice del portale sinistro il sig. Vasic osserva che i girali di foglie d’acanto che lo decorano, non partono, come di solito avviene nel periodo romanico, dalla bocca di un animale o da quella di un essere fantastico, ma da un cespo d’acanto di forma speciale, e che questo assieme ai girali lo si trova anche sull’architrave della porta di bronzo del Bonanno sul Duomo di Pisa. Ma questo cespo lo scorgiamo anche su un portale del Duomo di Traù, ove però un cordone pare lo stringa nel mezzo: fantasia, capriccio di scalpellino, che il sig. Vasic considera come una variante di grande portata. Il cespo, senza quel cordone, lo incontriamo meglio ancora che a Pisa, a Lucca sulla porta maggiore di s. Maria Forisportam, o se proprio si vuole, a Spalato nel palazzo di Diocleziano e su numerose lapidi sepolcrali romane. Comunque, restiamo pure a Pisa, tanto l’analogia è di ben scarsa entità, soprattutto quando s’è ammesso che la decorazione della facciata deriva da modelli pisani. Ma il nostro autore non si lascia sfuggire il portale sinistro di Zara; egli lo trova somigliante al portale meridionale del Duomo di Traù, il quale è più povero del nostro quanto a decorazione; il nostro ha le colonne interne tortili e non profilate, come quello di Traù, ma le sue esterne hanno il profilo, e queste, se sono del tempo di L. Periandro, ricostruttore del Duomo, rappresenterebbero il primo esempio del genere in Dalmazia, mentre alcune parti del portale di Traù non devonsi considerare più antiche del portale di Zara; nella migliore delle ipotesi si potrebbero porre nella seconda metà del secolo XIII, o al principio del XIV. E così, sempre seguendo la tattica pericolosa delle analogie, considerando ogni più insignificante variante come segno di uno speciale indirizzo d’arte, il sig. Vasic riesce a scoprire più periodi di lavoro su un portale semplice e modesto come è quello dì Traù, il quale st mai ha tutto l’aspetto di cosa venuta fuori d’un solo getto.