— 182 — della loggetta sarebbe pervenuto dalla Lombardia. Come si vede, si tratta sempre di cosa lombarda, quindi hanno ragione tutti e due. Le arcate cieche sul lato meridionale della chiesa egli le ritiene pur esse derivate da Pisa o da qualche città delle Puglie. In questo caso un’origine pisana ci convince di più. Nel 1188 un patto di amicizia e commerciale fu stipulato tra Zara e Pisa. Da quel momento risiedeva nella nostra città un console pisano; gli zaratini godevano nella città toscana degli stessi diritti che i pisani a Zara. Questi scambi di simpatie e di interessi non avranno mancato di favorire la diffusione dell'arte toscana nella nostra città. Nei porti delle Puglie gli zaratini erano esenti da tasse d’ancoraggio. Il nostro autore ha analizzato con gran cura il nostro Duomo; poche cose gli sono sfuggite, come ad esempio i nicchioni con cui terminano le navi laterali, le quali, perchè da lui studiate sulla pianta della chiesa levata dal Jackson, egli crede terminare con muro liscio. Egli ammira soprattutto l’ampiezza della navata mediana, che è quasi tre volte più larga delle laterali, non esattamente due volte, come pretende chi fornì al Brunelli per la sua «Storia di Zara» dati così poco esatti sui nostri monumenti. Le colonnine binate sui lati dei due occhi della facciata sono a tutto tondo, non sono semicolonne. L’autore pensa che sulla parte esterna dell’abside l’elegante loggetta del fianco settentrionale della chiesa non continua, perchè l’abside è di costruzione ben più antica del resto del Duomo. Ma ciò è ovvio. È piuttosto nei richiami storici che il sig. Vasic commette qualche errore. Re Colomano d’Ungheria prese Zara nel 1105, come lo provano documenti zaratini, non nel 1107, e non la prese con l'adesione di Bisanzio e di Venezia, ma con la forza, avendo egli approfittato della circostanza che l’armata veneta si trovava in Terrasanta. Ordelafo Faliero riuscì a riprendere Zara nel 1116, non nel 1115; in quest’anno, dopo un primo tentativo di impadronirsene, egli era ritornato a Venezia. Anche il nostro autore riporta le parole con le quali il Villehardouin, che faceva parte della triste crociata del 1202, magnifica la nostra città. Ma quelle son parole che il cronista usa tutte le volte che vede una località di una certa importanza. Il sig. Vasic non si meraviglia che il papa Innocenzo III accusi ì crociati di aver distrutto tutte le nostre chiese, e che Tommaso arcidiacono dica che essi hanno distrutto tutto a Zara meno le chiese : l’uno e l’altro avrebbero detto la verità, perchè se il Duomo andò in rovina, s. Donato restò in piedi. Ma il Duomo aveva il soffitto di legno e forse bruciò; s. Donato era tutto quanto di pietra. Il nostro autore riconosce le difficoltà che ostacolano il riconoscimento delle parti dell'antica chiesa, di cui Lorenzo Periandro si servì per la ricostruzione del Duomo, nè sa dire se l'arcivescovo, quando lo consacrò nel 1285, l'aveva condotto a termine, nè se la ricostruzione fu iniziata prima del Periandro. Crediamo che sia ben fatto non arrischiare ipotesi fino a tanto che nuovi documenti e nuove indagini non abbiano gettato nuova luce. Certo è soltanto, osserva il sig. Vasié, che l’iscrizione sotto la lunetta del portale maggiore accenna a lavori eseguiti mezzo secolo dopo la consacrazione della chiesa. Ma un’ osservazione importantissima che egli fa, è la seguente. Il primo ordine di arcate cieche sulla facciata più non si trova nel suo stato primitivo; le due lesene che segnano la larghezza della nave di mezzo, hanno tagliato quell’ ordine di arcate, che in origine era ininterrotto, cosi che fu necessario uno spostamento e restringimento delle arcatelle più vicine alla parte interna delle lesene ; senza questo taglio le arcatelle sarebbero state ventiquattro e tutte di egual luce. Nell’ordine superiore che a sinistra segue la linea obliqua dello spiovente della navata laterale, si dovette