— 193 — und Deutschland, Berlino, 1882, pag. 487): non si potrà affermare a priori che certe note della «Riforma e Controriforma jugoslava» (culto della lingua volgare, risveglio della coscienza individuale-nazionale, estensione della conoscenza storicogeografica, rinascita dell’ educazione spirituale) siano da attribuirsi alla sola influenza religiosa del protestantesimo, senza volerle ricercare in più remoto periodo di tempo inerente alla fioritura dell’ umanesimo. A tanta unilateralità si opporrebbero anche delle ragioni storiche perchè le terre di Slovenia e Croazia, che al protestantesimo aprirono le porte, erano allora sotto il dominio spirituale, le une della cultura tedesca, le altre della cultura italiana, ed i loro primi riformatori sono stati educati in Italia e in Germania, pullulanti di umanisti e sature di umanesimo. Analogamente a ciò siamo invece d’accordo col M. quando asserisce che non tutta la letteratura slava creata dalla Controriforma « o sorta alla sua epoca » (aggiungeremmo noi) sia da attribuire alla lotta cattolica contro il protestantesimo (< Slavia », IV, 4, 687). Prove convincenti, se il M. ha dei dubbi, ne offrono le opere croate di carattere religioso che i Dalmati scrissero e, in parte, pubblicarono già nel corso di tutto il secolo XVI, a cominciare dal 1495 col Lezionale di Fra Bernardino da Spaiato. L’illustrazione che il M. fa della figura complicata di Giorgio Kritanié, è davvero riuscita. Egli non trova in questo missionario slavo nè un esagerato panslavista nè un fanatico cattolico. Il suo panslavismo gli è tanto chiaro, quanto è quello di tutti gli scrittori eruditi della Riforma e Controriforma. Ha quindi perfettamente ragione quando afferma: « Slaventum kann man Krizanic natürlich nicht absprechen, nur muss man es im Zusammenhang mit den altslavischen Anschauungen der südslavischen Gelehrten Schriftsteller und Dichter des 16. und 17. Jahrhunderts studieren und ähnliche Anschauungen bei den Nordslaven speziell bei den Polen berücksichtigen» («Slavia», IV, 4, 715). Il Murko riesce anche a spiegare bene come il termine « illirico » per la lingua serbo-croata abbia lentamente sostituito il precedente « slavo », « croato », « dalmata » e si sia mantenuto sino alla seconda metà del secolo XIX. Questo fenomeno risale al tempo dell’ umanesimo e dipende dallo spirito classicheggiante degli umanisti che nel « latinismo dei nomi » (Burckhardt) solevano ripristinare vecchie forme dimenticate e poco usate. Così risorse il concetto romano dell’ampia Illiria e « illirica » fu chiamata la parlata slava che dominava nella maggior parte del territorio una volta occupato dagli Illiri. A comprovare ciò il Murko porge qualche dato, ma specialmente per l’epoca antica, in misura assai limitata. Cercheremo perciò qui di darne altre prove. E anzitutto ricorrendo alla terminologia ufficiale della Chiesa stessa. Da questa risulta che fino alla metà del s. XV ¡1 termine « slavus, sclavus, sclavicus » (p. es. i preti « de littera sciava ») era ancora in vigore. Verso il 1450 invece il termine «illyricus» va acquistando la prevalenza. In un sinodo zaratino del 1460, p. es., sono già menzionati i sacerdoti « de littera slava seu Iilyrici » (A. CRONIA, V enigma del glagolismo in Dalmazia, Zara, p. 82). Similmente in una Costituzione spalatina del 1511 si ricorda la «lingua Illyrica ». E così a Nona nel 1598; a Sebenico nel 1602 (Farlati, Illyricum Sacrum, IV, 485) e via via. Il visitatore apostolico in Dalmazia, Michele Priolo, nel 1602-1603 non parla che di «illyricus» (Starine, XXXIII, 537-564, Zagabria, 1911). Ma oltre che nella Chiesa il nome « illirico » trovò, come accenna il Murko, diffusione anche nella letteratura umanistica e postumanistica. Il Sisgoreo col suo De situ Illyriae è stato ricordato anche dal Murko, benché faccia distinzione 13