— 42 — quali poter fondare conclusioni di precisione anche relativa. Valendoci tuttavia di alcuni indizi, e, forti soprattutto della grande esperienza che dell’ambiente medioevale spalatino ci siamo fatta svolgendo foglio per foglio tutti i volumi trecenteschi e quattrocenteschi del suo archivio, crediamo di essere .in grado di far delle valutazioni senza troppo pericolo di scostarci dalla realtà. Spalato e il suo distretto avevano in media nel trecento dagli otto ai diecimila abitanti. Di questi un terzo e più era concentrato nella civitas nova e vetus e gli altri due terzi disseminati nell’agro e nelle isole. Dei tremila circa, concentrati in città, 700 *) appartenevano alla nobiltà; 300-400 all’ordine cittadino; altrettanti all’ordine ecclesiastico2); 200-300 alla categoria degli habiiatores ; un migliaio o poco più ai populares. Sorge ora la questione di che origine fossero e che linguaggio parlassero questi abitanti. Questione grave e spinosa che va risolta con criteri assai più seri e con un senso di responsabilità molto più sviluppato di quello che gli storici, specialmente slavi, abbiano sinora mostrato ‘) 11 dato si può stabilire con una certa precisione prendendo a base il numero dei consiglieri del Consiglio Generale. Nella prima metà del trecento si raggiungeva facilmente il centinaio (Statuto cit., pag. 19, 31, 36 ecc.). Dopo la terribile moria del 1348, nella quale, come narra un cronista spalatino del tempo « multi nobiles et populares infiniti Spalatensium illis diebus occubuerunt» (Summa historiarum tabula dell’anonimo A CUTHEIS, in LUCIO, De Regno cit., pag. 382), per raggiungere questo numero si fu costretti ad abbassare da 18 a 16 anni l’età utile per poter farne parte (Statuto cit., pag. 263). Nel 1357 — dopo aver però dato il bando ai nobili che aderivano a Venezia — il numero dei consiglieri era di 92 (Bullettino di archelogia e storia dalmata, Spalato, XIV [a. 1891], pag. 121). Se a queste cifre applichiamo il criterio che oggi vale per la valutazione demografica in base al suffragio universale, e se teniamo conto che allora il celibato quasi non esisteva e che le famiglie erano numerosissime, otterremo appunto un numero che s’aggira intorno ai 700. '-') Anche qui è possibile fare il calcolo con una certa esattezza. Spalato era sede di arcivescovado, e la città e il territorio erano gremiti di chiese grandi e piccole. Tanto ne era il numero, sempre crescente, e tante le ricchezze, che oltre un terzo di tutto il patrimonio immobiliare che si trovava sul territorio del comune era a poco a poco passato in mani ecclesiastiche. Sicché il Consiglio Generale, il 6 agosto 1347 fu indotto a votare e ad inserire nello Statuto una riformazione che proibiva ai cittadini di Spalato di donare, legare o vendere immobili a chiese o monasteri (Statuto cit., pag. 250-251). Senza pretendere di dare un elenco nemmeno lontanamente completo, e avvertendo che una stessa chiesa può nascondersi sotto più nomi diversi, trascriveremo qui in ordine alfabetico, togliendoli dai nostri appunti, i nomi di quelle chiese che, casualmente e con altri fini, abbiamo annotato. La loro serie, oltre che fornire la prova di ciò che sopra abbiamo affermato, costituisce un bel complesso di toponimi trecenteschi spalatini. Eccoli: s. Anastasia que est in civ. Spai., s. Barbara in civ. nova Spai., s. Basilius, s. Cassianus, s. Cicilia, s. Ciprianus in Spalato, s. Doymus, s. Elya de Zuzuo(?), s. Felix, s. Georgius de puncta Marignani, s. Georgius de Postrana de villa Mirgaloqua, s. Isidorus (in Boi?), s. Jacobus, s. Johannes de Mergnano, s. Julianr., s. Kyryeleyson in contracta de Monte, s. Laurentius Paganus (in Qugnano), s. Laurentius de Platea, s. Luca (de