- 226 — sono argomenti che possono militare a favore della loro autenticità. 11 collettore secentesco poteva benissimo trovarli nell’ Archivio della Curia o del Capitolo spalatino falsificati già da secoli, e in buona fede inserirli nella sua raccolta assieme a documenti autentici. Quanto alle conoscenze storico-geografiche che essi presuppongono (qui non intendiamo discutere gli atti dei sinodi del sec. VI, che hanno caratteristiche ben diverse dai nostri) non dobbiamo meravigliarcene quando pensiamo che tutte le falsificazioni, anche le più sciocche, vengono sempre fatte sulla falsariga di carte autentiche, dalle quali è precipua cura del falsificatore attingere tutti quegli elementi storici, geografici, onomastici e toponomastici, che* riscontrandosi appunto in documenti del tempo al quale egli si vuol riferire, sono destinati a render credibile e a dar colore d’autenticità all’opera sua. Molto a sproposito quindi il Sisic tira in campo la quasi impossibilità che nel cinquecento il De Administrando Imperio di Costantino Porfirogenito fosse conosciuto in Dalmazia. Non per recare un argomento contro l’autenticità di questi atti, ma per mostrare come anche in questo riguardo egli si sia ingannato, diremo che l’opera del Porfirogenito era in Dalmazia nel cinquecento conosciutissima. In una raccoltina di fonti di storia dalmata, messa insieme dallo zaratino Francesco Fumati '), vi sono brani del De Administrando Imperio « ex versione J. B. Egnatii». L’Egnazio (1473-1550), a’ suoi tempi celebre e celebrato filelleno veneziano, era in relazione con gli studiosi di Dalmazia, ed era invidiato possessore di un codice del De Administrando Imperio', codice che, passato poi nella Biblioteca Palatina di Heidelberg, fu adoperato dal Meursio per la prima rarissima edizione elzeviriana del 1611 (non 1610)*). La versione dell’Egnazio circolava senza dubbio in Dalmazia assai prima della stampa e della versione del Meursio. Ma torniamo agli atti. La loro falsificazione non avvenne certamente nel seicento, non perchè l’opera del Porfirogenito non fosse conosciuta, ma perchè mancava il solito movente di tutte le falsificazioni: l’interesse. Risalendo nel tempo però, non sarà difficile trovare nella storia di Spalato dei momenti nei quali questo movente poteva sussistere. Dopo il 1327, per esempio, quando il passaggio di Spalato alla Repubblica di Venezia determinò una situazione di contrasto tra l’arcivescovado di Spalato, quello di Zara e le diocesi rimaste sotto l’Ungheria. Fu in questo tempo che sorse anche il celeberrimo Montaneum, tanto più sospetto quanto più tronfie e smaccate sono le vanterie e le assicurazioni dei mille ed uno notai che vi lavorarono attorno. Ma non è su questi cenni nè su queste osservazioni di secondaria importanza che poggiano i nostri sospetti. Ciò che soprattutto ci fa dubitare dell’autenticità degli atti in questione è il loro contenuto. Non ci pare affatto vera l’asserzione del Sisic, tolta dal Farlati, che gli argomenti trattati nel sinodo del 925 siano in consonanza con lo spirito dei tempi. Basta pensare alle condizioni politiche d'Italia nella prima metà del secolo X, al supremo avvilimento nel quale, *) L’originale di questa raccolta è nella biblioteca Pappafava di Zara. Alla Paravia ne esiste una copia della metà del secolo scorso (segn. 16512). Vedi BRUNELLI V., Storia di Zara, Venezia, 1913, pag. 14. Del Fumati, che studiò diritto a Padova, c’è per le stampe: Francisci Fumati patririi Jadertini iuris civilis scholastici oratio habita Patavii in amplissimis iurisconsultorum Scholis III Id. Novembris MDXXXVIII. 2) Togliamo questi dati dalla prefazione di un opuscolo dello stesso MEURSIO, Ad Co-stantinum de Administrando Imperio IVotae breves, opuscolo che è aggiunto in fine a un esemplare della edizione elzeviriana che, poco fa, avemmo la fortuna di acquistare da un antiquario di Bologna,