231 MDXXVII, MAGGIO. 232 da le incerlitudine della sua liberatione. Concludendo, che se come huomo diceva alcuna cosa di error, che io ne chiedeva perdono, ma che con quella sincerità che deve un par mio mi movea, et perchè poi la comune opinione ha condesceso a questo, et che anco li altri che erano di parer contrario hanno ceduto, mi è parso scrivervi la presente, affine che con la prudenlia vostra intendiate se il progresso dello effecto ha portato di me alcuna mala satisfalione, et che li provediate come mi confido, pregandovi operar circa la venuta mia in Lombardia sì "per le cagioni scritte, come per altre mie cagioni importanti occorse da poco in qua, che non mi è lecito scrivervi eie. lai1 De Roma de missier Sigismondo dalla Torre. Data nel palatìo Apostolico alli 11 di Mazo 1527, scritta al signor marchese di Mantova. Intenderà dunche vostra excellentia, che havendo queslo exercito con animo deliberato concluso di venir alla expugnation di Fiorenza, et hessendo al tutto cxcluso ogni coriditione di pace, poi che a la venula del Illustrissimo signor Viceré alla Pieve San Stefano già si era firmato il chiodo di non volere se non con tali partiti che Nostro Signor né Signori fiorentini volevano acelar, si marehiò inanzi tanto, che si gionse a Zonta, loco dove si potea pigliar il camino per Fiorenza et per Roma, et benché di altro loco si havesse potuto pigliar più comoda-meute la via di Firenze, pur parea necessario venir a capitar in queslo loco per haver sicuramente da senesi vitualie per rinfrescar l’exercito, quale havea patito quelli incomodi che nessuno che non li ha veduti potrà giamai credere. Et io per me che ci era apena, osarò a dirlo a qualche tempo, perché puochi serano che lo accetano per vero. Bisognava anco pigliar artigliane et munitioni per far l’impresa, et però con queslo colore si conducessimo fin li donde lo exercito fu chiarito della risolutione di venir a Roma; il che parve si novo et sì strano che spagnoli volseno mulinar, allegando che tutto il disagio patito haveano tolerato pascendosi di la speranza di dipredar Firenze, el hora venendo a Roma, sapeano che le cose pigliariano effecto per la via di appontamento, il che levaria loro il profilo che se teneano certo, nè a miglior partito po-trano in tal caso venire che essere pagati de loro (i) La carta 150 * è bianca. avanzi, il che alla grande pena palila et alla speranza concetta, era però niente. Pur, per megio máximamente del signor Joanne di Urbina fu dato rimedio al tutto, et così la matlina se inviassemo cavalcando a si aspre giornate et per sì stranie vie con sì perverso tempo, che quello che si havea patito prima, che già si credea essere extremo, è stato niente, perchè in selle giorni fussemo su le porle di Roma che non fufono manco di 120 miglia, et per tempo tale, che non era possibile cavalchare, et máximamente il giorno che parlissemo da Ponte Santino et venissemo a Monlefiascone, che si pas- 151* sorno quelle fiumare con sì extremo pericolo che non si poiria dir più. Et ben ce ne sono rimasi. Finalmente, alli cinque fussimo sopra Roma dal canto di Belvedere et di Transtevere. Del qual loco per camino il signor Duca mandò un trombeta a Nostro Signor, con una lettera nella qual ultimamente se risolvea di assetar le cose con Sua Santità pagando allo exercito 300 milia ducati ; al che non fu risposto. Unde hessendo noi conduti in loco angusto et carestoso, et havendo dinanzi uu Tevere et una Roma, et intendendo che drieto ne cavalchava un grosso exercito, si pensò essere necessario tentar la fortuna, al che ci faceva più arditi il saper che in Roma non era gran provisione di buona gente pagata. Così agli sei, che fu Lunidi pas* seto, di poco innanzi giorno, quel poverino di monsignor di Borbone, con quelle poche gente che tumultuariamente puotè haver, andò alla muraglia che è fra il barcheto et la porta de San Pancralio, et cominciò a dar l’assalto. Tulio il campo tuttavia di mano in mano andava alla battaglia, et li lanzchnechi andorno acanto la porta di Transtevere sopra la collina a dar il loro assalto. Et con essi era il signor principe di Orange, il signor Ferante Gonzaga con circa 300 0 350 homeni d’arme a piè, veniva al loco ove monsignor di Borbone ferito nella anguinaglia da un smeriglio cade morto. 11 che, anche che fusse tenuto secreto, pur fra molli si seppe, et diede materia che la battaglia non procedeva con quela caldeza dal voler vincere si richiedeva; pur sopragiongendo al tempo ordenato il signor Ferrante con le genie d’arme, il qual su li occhi di tutto lo exercito ha meritalo haver l'honore di tanta parte in questa vitoria quanta forsi habbi homo che ci sia stato, et questo è publicassimo et c’è nela bocha di ognuno, comincio la impresa a pigliar tanto di favore, che riscaldala la bataglia, la qual dal principio fin al fine durò nn’hora et mezza, et qualcosetta di più, per un piccol rotto che fu