- 218 — decenni del secolo VII, non avesse determinato la totale distruzione dell’ elemento romano, ma che questo sopravvivesse nelle città costiere, alle marine e nelle isole. Si ammetteva cioè che la latinità in Dalmazia non avesse subito interruzione alcuna. Fu nel 1912 che i sig.i Bulic e Bervaldi, in un’opera sulla cronotassi dei vescovi di Salona e degli arcivescovi di Spalato (Kronotaksa solinskih biskupa uz dodatak kronotaksa spljetskìh nadbiskupa, Zagabria, 1912-13), credettero di poter in parte infirmare questo fatto sostenendo che la Chiesa salonitano-spalatina fu per due secoli senza pastore (dal principio del VII al principio del IX). Da questa prima avvisaglia alla totale negazione che in genere vi fosse in Dalmazia latinità prima del principio del secolo IX, il passo fu breve. Credette di poterlo compiere I. STROHAL con 1’ opera Pravna povijest dalmatinskih gradava (La storia del diritto nelle città dalmate), Zagabria, Accademia Jugoslava, 1913. L’opera dello Strohal, senza alcun valore, non persuase nessuno, nemmeno gli storici croati, ed oggi si ricorda soltanto come ultima e più caratteristica espressione dell’ indirizzo storiografico croato dell'anteguerra. Non così la Kronotaksa che ha guidato, informandola, anche la narrazione del Sisic. Argomenti capitali per negare l’esistenza di un’ organizzazione ecclesiastica nella diocesi, o arcidiocesi, di Salona-Spalato nei secoli VII-VIII sono per il Bulic e Bervaldi le manchevolezze e le contraddizioni dei cataloghi vescovili e la assoluta mancanza di documenti o di altre memorie. Di fronte a questi argomenti stanno le narrazioni di Tommaso Arcidiacono e di Costantino Porfirogenito. Specialmente il primo, ampiamente ed esplicitamente, narra come pochi anni dopo la distruzione della città, fosse mandato dal pontefice un legato di nome Giovanni, ravennate di patria, a riorganizzare la chiesa di Salona. Ritenere queste narrazioni del tutto false non era possibile; allora gli autori della Kronotaksa, spostandone il tempo, le applicarono al principio del secolo IX. Non staremo a dire come di giorno in giorno si vada sempre più sgretolando questa paziente costruzione. Nuovi elementi che contraddicono in pieno alla tesi buliciana e bervaldiana si acquistano continuamente, e sempre più chiaro si fa il quadro della situazione storica dalmata e adriatica al principio del sec. IX; situazione che esclude la possibilità di un qualsiasi intervento della politica carolingia o papale in quella bizantinissima Dalmazia che era il fulcro della politica, anzi dell’azione greca contro lo stato franco. Tuttavia la tesi Bulic-Bervaldi è stata accettata anche dal Sisic. Egli stesso però, con la potente e veramente acuta analisi dei brani dell’Arcidiacono che si riferiscono agli avvenimenti della prima metà del VII sec., la ha infirmata non poco. Il Sisic veramente, per la poca conoscenza della storia d’Italia, non ha tratto dalla sua analisi tutte le conclusioni di cui essa è suscettibile. Le trarremo noi. Grande merito del Sisic è quello di aver stabilito che i profughi salonitani ripopolarono la terraferma spalatina nel triennio dal 638 al 641. Prima ancora, al dire dell’Arcidiacono, che, senza dubbio, per questi avvenimenti attinge a fonte attendibilissima, si erano trasferiti singoli nuclei di ardimentosi che combattevano virilmente gl’ invasori. 11 ritorno in massa, pacificamente, avvenne non più tardi della primavera del 641, in seguito a rescritto degli imperatori Eraclio ed Eracleone, rescritto accompagnato da una «iussio ad duces Gotorum et Sclavorum... ut nullam salonitanis civibus in Spalato degentibus molestiam irrogarent» '). Di questa *) Con questa iussio, sta forse in relazione la promessa fatta dagli slavi anche a! pontefice romano « numquam se alienam terram armis invasuros^ sed pacem habituros cum omnibus volentibus » (Costantino Porfirogenito, cap. 31), quantunque il Sisic la ritenga di centocinquant’anni posteriore,