- 216 - disposti in ordine cronologico, assegnando a ciascuno un numero progressivo. Sicché, per esempio, avviene che a un passo di Costantino Porfirogenito segua un breve frammento di Paolo Diacono, seguito alla sua volta da una notiziola tratta dal «Liber Pontificalis», da un brano della cronaca di Tommaso Arcidiacono e da... un altro passo ancora del Porfirogenito. Sempre per lo stesso argomento ! Immaginarsi il lavorìo di pazienza durato dagli storici croati meno esperti per raccapezzarsi, veder chiaro e mettere d’accordo tante e sì diverse autorità! Ma meno male finché si tratta di brani di cronache. Il guaio si è che anche la prima parte, gli «Acta» sono editi allo stesso modo. Questi «Acta» sono tutti — o quasi — documenti provenienti e di spettanza delle città dalmate romane. Nessuno è originale. In massima parte sono estratti da cartulari di monasteri benedettini. Cartulari che hanno una fisonomía tutta speciale, dove il brano annalistico si confonde con la nota memoriale, la narrazione soggettiva del procedimento di un « iudicatum » si alterna all’ inventario dei preziosi o dei libri del monastero, la semplice notizia di un acquisto è seguita dalla notazione di un debito, di un credito, di una spogliazione patita. Non sono dei « registri privilegiorum », come agli storici e ai diplomatisti croati piace chiamarli, ma degli zibaldoni, un quid medium tra il cartulario e gli « annales », dove il documento diplomaticamente perfetto è confuso con il semplice abbozzo, dove alle volte si può benissimo seguire la trasformazione della nota annalistica in documento fornito di tutti i necessari crismi diplomatici e giuridici. Il contenuto di questi cartulari è stato dal Racki spezzettato, e i pezzi restaurati, ripuliti, spolverati, muniti di un millesimo spesso male congetturato, sono stati in buon ordine disposti nella prima parte del suo Diplomatario. Sicché anche gli storici più esperti, compreso il Sisié, non si son sempre resi conto del valore e delle caratteristiche dei singoli documenti. Intorno ai cartulari dei monasteri benedettini della Dalmazia v’è da fare ancora tutta una serie di studi. Occorrerà anzitutto pubblicarli separatamente e integralmente, come sono, con il buono e con la scoria che contengono. Occorrerà studiare di ciascuno il sorgere e la formazione, studiare specialmente la storia del monastero di cui sono prodotto, dedicando particolare cura all’incrementarsi dei suoi possessi. E questo studio piuttosto che dalle origini in qua, converrà farlo a ritroso. Appena allora sarà possibile veder chiaro nel loro valore, ed eliminare contraddizioni e incertezze che, allo stato presente, impediscono di orientarci con sicurezza in quel periodo di storia dalmata del quale essi sono la fonte più abbondante se non la più sicura e più unilaterale. Tornando al Sisic constateremo con soddisfazione com’egli, specialmente in quest* ultima opera sua, oltre che aver notevolmente temperato il linguaggio ed aver abbandonato certe insostenibili posizioni di sfegatato nazionalista, si sia anche in parte liberato dalle pastoie imposte a chi lavora principalmente sulle fonti del Racki. Di molti documenti egli ha voluto vedere l’originale, e nella maggior parte dei casi nei quali lo ha veduto, oltre che una simpatica indipendenza di giudizio, ne è risultato un notevole ampliamento delle linee storiche in precedenza da altri tracciate. Una non soverchia padronanza dei fatti paleografici e una ancor minore capacità a sviscerare la struttura diplomatica del documento, lo ha qua e là indotto in errore, lo ha anzi più volte tratto a farsi tenace difensore di cause irrimediabilmente perdute. Ma, in genere, sarebbe ingiusto misconoscere il progresso che anche in questo riguardo segna l’opera sua.