— 13 - di Venezia. Un nostro concittadino, N. Battaglini, collaboratore pure della «Gazzetta», metteva in scena una commedia incolore « Maria» («Gazzetta», an. 1845, n.ro 47), ma poi pubblicava nella «Gazzetta» stessa (an. 1847, n.ri 5-7) delle scene dalmate sulla caduta della Repubblica, di cui una slava «Jela» ne faceva l’apologia, e chiudeva i suoi giorni a Venezia, dopo avere data vita e ordine all’odierno museo archeologico di Murano. Ma questa slavofilia non si appalesa forse in nessuno con tanto contrasto, quanto nel pittore Francesco Salghetti da Zara. Non parliamo dei quadri di soggetto slavo, che gli furono commessi dal vescovo Strossmayer, di quelli bensi eseguiti di sua elezione nei primi anni della sua vita artistica. Questi sono: «La fanciulla a cui ignominiosamente togliesi di capo il berretto rosso », che ha poi suggerito al Casotti il romanzo omonimo da noi accennato più su, « Il bardo morlacco » e «La risurrezione di re Dusciano». Quest’ultimo, che commentava una poesia del Preradovich, scritta nel ’48, aveva un significato politico chiaro abbastanza : il ritorno di quel re in Serbia, per ricondurla alla vittoria e alla libertà. Preludeva al « Giuramento dei re di Croazia, Bulgaria e Serbia », che avrebbero cacciato gli stranieri dalla Balcania. Ebbene, a tali esercitazioni, diremo così accademiche, stanno di contro due lavori, di propria elezione, fatti con sentimento di patriotta italiano. Essi sono: «S. Ambrogio, che rimprovera a Teodosio la strage di Tessalonica e gli vieta l’ingresso al tempio» - «Lina fanciulla che piange sul campo di battaglia la morte dell’amato». Il primo quadro insieme ad altri fu accolto all’ esposizione di Milano nel ’38, aperta per Francesco I, che vi era andato a prendere la corona del regno Lombardo-Veneto. II Tommaseo in quell’ occasione scriveva al Salghetti (23 agosto): Piacemi che al momento dell’incoronazione abbiate esposto a Milano il s. Ambrogio scacciante /’ incoronato. Perchè non intesero, permisero. Ma forse intesero a fatto compiuto : la « Gazzetta privilegiata » di Milano (15 settembre) pubblicava un trafiletto velenoso contro tutte le tele, messe in mostra dal Salghetti, e non nominava il s. Ambrogio. Il soggetto del secondo quadro era veramente « La battaglia di Gavinana, la morte del Ferruccio e la fine della libertà fiorentina». Una fanciulla prostrata a terra, posa la mano sull’abbattuto stendardo di Firenze, e abbraccia l’elmo del Ferruccio; negli spicchi dei quattro angoli, c’erano quattro mostri allegorici, ciascuno con lo stemma dei quattro personaggi, che erano stati causa dell’eccidio di Gavinana: papa Clemente VII, Malatesta Baglioni, Alessandro de’ Medici, Carlo V. Alla Filotecnica di Trieste, ove questo quadro'era stato esposto nel ’41 insieme"al «Bardo morlacco», pareva che nessuno avesse badato a quei mostri e a quegli stemmi;