— 224 — tartara o dell’Anatolia, ne bastavano 36-40 per una schiava croata, bosnese o serba della stessa età. E poi non erano in questo tempo i veneti del partito bizantino, quelli cioè che avevano libero il mare, che esercitavano tanto il traffico schiavistico, quanto i partigiani della politica carolina, « quella grossa schiera di esuli, sopratutto dalle isole lagunari, che dalla terraferma ordivano congiure contro i conterranei > ')• A pag. 352 il Sisic riporta e commenta tra parentesi una lettera di Giovanni Vili al duca Domagoj. Ecco le sue parole : « Allora dunque (intorno al 874), a causa della frequenza dei conflitti croato-veneziani, il pontefice, certamente per istigazione veneziana, si rivolse al glorioso duca Domagoj e lo ammonì „che contro i corsari (contra marinos latrunculos), i quali sotto il pretesto del tuo nome infuriano contro i cristiani (cioè contro i Veneziani) ti accenda di tanto maggior zelo, quanto più sai che la loro pravità offusca la fama del tuo nome. Poiché, anche se si può credere che essi assaltino i naviganti contro tua volontà, pure, siccome si dice (cioè i Veneziani dicono) che tu puoi comprimerli, se non li comprimerai non sarai stimato innocente“». I corsivi riproducono il commento sisiciano. Commento, che, come ognun vede, è un capolavoro di buon senso e di serenità. Ma rileggiamo per l’amor di Dio un brano del Liber Pontificalis che si riferisce ad avvenimenti di soli quattro anni prima: «Legati... summi pontificis... post dies aliquot navigantes in Sclavoruni deducti manus, proh dolor, inciderunt, bonisque omnibus ac authentico, in quo subscriptiones omnium fuerant, exemplari, denudati sunt; ipsique capite plexi fuissent, nisi ab his, qui ex illis aufugerant, sibi ti-muissent». Tutto questo alla corte papale era stato dimenticato soli quattro anni dopo, e v’ era proprio bisogno che i veneziani rinfrescassero la mente del pontefice su ciò che in Adriatico succedeva! E poi, conveniva proprio a uno storico dei croati tirar queste piccole sassate, mirate male, contro le finestre della storia veneziana (ci si perdoni il concettino degno del più ricercato secentista) quando tutto l’edificio della storia croata è, in questo riguardo, un bersaglio a piena figura di fragilissimo cristallo? Prendiamo il documento che per la storia sociale ed economica della Dalmazia medioevale è giustamente ritenuto uno dei più importanti. È l’atto di fondazione e di dotazione (anno 1080) del monastero di san Pietro in Selo (Racki, Documenta, pag. 127 sgg.). Tra le altre cose donate ci sono naturalmente degli schiavi. I quali schiavi appariscono essere stati venduti ai donatori da almissani, sebenzani, cattarini, campisani 2), longobardi3), ma da nessun veneto. Impressiona invece la gran quantità di schiavi venduti proprio da slavi, specialmente dalla Narenta, da Almissa, da Tugari, dalla Maronia, insomma da quei paesi dove la pirateria e la ruberia era norma di vita, anzi onorevolissima professione. Non per niente Gregorio VII, quando pose sul trono il re Zvonimiro, tra le prime cose che gli fece giurare fu : « hominum venditioni contradicam »4). Ma anche staccandoci da questi tempi, quando dappertutto i costumi erano più rudi e gli scrupoli morali assai poco sentiti, e venendo a tempi a noi più vicini, al duecento e al trecento, quando il traffico schiavistico si fece nei paesi civili meno vivo e più umano, constatiamo subito che in Croazia, in Bosnia, in l) R. Cessi, op. cit., pag. 144. -) Forse gli abitanti dell' agro spalatino. 3) La denominazione ci pare voglia significare gli abitanti dei ducati dell’ Italia meridionale. *) Racki, op. cit., pag. 104,