— 229 - (ibidem, pag. 47); viene allontanato dal suo ufficio anche il vescovo di Zara Andrea, forse troppo tenero, secondo la tradizione zaratina, di Bisanzio. Tra i canoni proclamati vi era anche la proibizione di ordinare sacerdoti slavi che non sapessero di latino e di celebrare i riti religiosi in lingua glagolitica. Questa proibizione, che riflette uno dei principi più fermi della azione restauratrice cattolica, fu la scintilla di un terribile incendio, divampato, naturalmente, non nelle città latine di Dalmazia, ma nel finitimo regno croato. Non appena i preti slavi l’appresero «magno sunt merore confecti» (ibidem, p. 47). Fu decisivo per l’ulteriore sviluppo degli avvenimenti il fatto che questo «meror» coincidesse con le lotte tra Alessandro li e Onorio II. Un prete tedesco, Volfango ')> certamente aderente del partito imperiale, emissario forse dell’arcivescovo Viberto, viene in quella parte della Dalmazia che più delle altre era soggetta all’ influenza di Ravenna, di Aquileia, dell’ Istria, e guadagna al partito dell’ antipapa gran parte della Croazia. Centro di questo movimento è l’isola di Veglia: quivi si insedia il vescovo gla-golita, quivi Volfango stabilisce il suo quartiere generale, quivi senza dubbio passano in questo tempo dall’ Istria e dal Friuli, oltre che agitatori, anche cavalieri e milizie dell’impero2). Il movimento si fa rapidamente fortissimo, investe e domina in breve quasi tutta la Croazia. Lo stesso re Cressimiro, crediamo, ma senza troppo compromettersi, lo favorisce. Animatore vivissimo e fautore deciso ed aperto ad ogni costo ne è però il duca Stefano, nipote del re e designato a succedergli. Il bano Zvonimiro, concorrente di Stefano nella successione al trono, gli è invece decisamente ostile. Questa situazione si protrae sino al sinodo di Mantova della Pentecoste del 1064. Ma dopo il riconoscimento di Alessandro II da parte della corte germanica le cose cambiano. Cressimiro si orienta verso Roma. Zvonimiro, che nel 1061, o poco dopo, era stato sconfitto e cacciato dai croati e dagli imperiali, viene reintrodotto nel regno dalle armi ungheresi. Stefano tuttavia, bella figura di campione nazionale che nessun storico croato ha compresa, rimane tenace nel suo proposito: nonostante gli attacchi mossigli e le posizioni perdute, riesce a mantenersi a Veglia, a Pago, forse in Arbe e in un tratto di terraferma che all’incirca possiamo valutare da Segna a Obbrovazzo. La riconciliazione di Alessandro II con l’impero segna per il movimento glagolitico un grave scacco. Un legato papale, il cardinale Giovanni vescovo Portuense si reca a Veglia, dove, forse gli stessi imperiali gli consegnano come capro espiatorio il prete tedesco che è trascinato a Spalato e, in mezzo a un sinodo, sconsacrato, fustigato, bollato e gettato in prigione. Ma il legato non riesce ad ottenere, naturalmente, la consegna del vescovo e degli agitatori glagolitici, delle cui azioni gl’ imperiali non erano responsabili, nè delle cui persone, protette dal duca Stefano, potevano disporre. Le lotte continuarono anche dopo il 1064. Stefano, valendosi specialmente della flottiglia piratesca delle popolazioni rivierasche del canale della Morlacca, attaccava e molestava continuamente le terre avversarie prendendo specialmente di mira i centri della azione e della propaganda latina cattolica. Cressimiro e *) Tommaso Arcidiacono lo chiama «Ulfus» e «Golfangus», e lo dice «advena». È inutile quindi farne un croato indigeno di nome Vuk. -) Alludiamo ai conti di Veglia, che poi si dissero Frangipani. Intorno ad essi, nell’Archivio di Stato di Venezia, abbiamo trovato una cospicua messe di documenti, dai quali, per quanto di due secoli posteriori agli avvenimenti che narriamo, risultano circostanze e stati di fatto che fanno pensare a una origine istriana, o piuttosto friulana, di questi signorotti.